Il 24 novembre 2008 a Nagasaki, in Giappone, papa Benedetto XVI ha beneficato 188 martiri di quel paese, martirizzati tra atroci tormenti durante la terribile persecuzione scatenata contro i cristiani nei primi decenni del Seicento. Essi si aggiungono agli altri 42 santi e ai 395 beati – tutti martiri – già elevati agli altari dai precedenti papi.
Fra di essi c’erano uomini, donne e bambini, sacerdoti e laici, nobili e, soprattutto, contadini.
Di alcuni di loro ci parla padre Mark Tardiff, della direzione generale del PIME (Pontificio Istituito Missioni Estere) nel seguente brano, liberamente adattato:
«Le storie dei martiri giapponesi che sono stati beatificati il 24 novembre [2008] risalgono a un periodo di 400 anni fa. A leggere però le loro storie sembra di ritornare ancora più indietro, agli atti dei martiri della prima Chiesa.
San Francesco Saverio giunse in Giappone nel 1549, iniziando la predicazione del Vangelo di Cristo nel paese del Sol Levante.
Dopo 60 anni lo Shogun, cioè il capo militare del Giappone, scatenò una tale persecuzione contro la giovane Chiesa cristiana, che si può paragonare per la furia con quella dell’imperatore Diocleziano, agli inizi del IV secolo. Anche donne e bambini furono presi nel turbine. Le loro storie ricordano quelle di Perpetua e Felicita o di sant’Agnese.
Il samurai Zaisho Shichiemon fu battezzato il 22 luglio del 1608. Egli prese il nome di Leone, lo stesso del grande papa che fermò le invasioni dei barbari. La sua storia, però, ricorda molto più da vicino il percorso di san Giustino, il martire che dopo aver trovato la Verità, non volle più rinnegarla.
Hangou Mitsuhisa, il signore feudale sotto di cui Zaisho serviva, aveva proibito ai suoi di diventare cristiani. Il sacerdote a cui Zaisho chiese il battesimo, glielo fece presente, ricordandogli che egli avrebbe potuto essere punito o perfino ucciso. “Lo so – egli rispose – ma ho compreso che la salvezza sta nell’insegnamento di Gesù e nessuno potrà separarmi da Lui”.
Come nel caso di molti martiri, non si trattava solo di una convinzione mentale, ma di un rapporto mistico. Un giorno Zaisho confessò a un amico: “Non capisco come, ma ormai mi scopro sempre a pensare a Dio”. Arrestato, gli fu ordinato di rinunciare alla fede. La sua risposta fu: “In qualunque altra cosa io ubbidirei, ma non posso accettare alcun ordine che si opponga alla mia salvezza eterna”. Al mattino del 17 novembre 1608, quattro mesi dopo il suo battesimo, fu giustiziato in strada davanti alla sua casa.
Il 9 dicembre 1603, Agnese Takeda fu costretta ad assistere alla decapitazione di suo marito. Piena di riverenza e amore, raccolse la sua testa e la strinse al petto. Le cronache dicono che a quella vista, non solo la folla, ma perfino i carnefici si commossero. La separazione della coppia fu breve perché Agnese fu martirizzata poco dopo, lo stesso giorno.
Nel 1619 Tecla Hashimoto, che aspettava il suo quarto figlio, fu legata a una croce assieme alle altre figlie, di cui una aveva solo tre anni, e tutte furono bruciate vive.
Mentre le fiamme si alzavano attorno a loro, la figlia di 13 anni gridò: “Mamma, non riesco a vedere più nulla!”. La madre rispose: “Non temere. Fra poco vedrai tutto con chiarezza”.
Da seminarista, nel 1614 fu esiliato a Macao, come tutti i missionari stranieri presenti in Giappone. Il suo ardente desiderio fu quello di diventare prete e tornare fra il suo popolo. Così nel 1618 egli lasciò Macao su una nave e arrivò fino a Goa, in India. Da lì egli viaggiò da solo attraversando quelli che oggi sono il Pakistan, l’Iran, l’Iraq, la Giordania e arrivò fino in Terra Santa. Dopo una visita ai luoghi santi, nel 1620 giunse a Roma. Ordinato sacerdote, si preparò al ritorno in Giappone. Intanto però lo Shogun aveva chiuso l'ingresso nel paese a tutti, con l'eccezione di pochi olandesi strettamente controllati.
Padre Pietro riuscì ugualmente a rientrare in segreto in Giappone, vivendo come clandestino e celebrando i sacramenti con i cristiani di nascosto.
Nel 1633, avendo saputo che un missionario, padre Fereira, aveva ceduto all'apostasia, scese dalle montagne e andò a incontrarlo. “Padre – gli disse – andiamo insieme alla stazione della polizia militare. Lei ritratta la sua apostasia e poi moriremo insieme”. Padre Fereira rifiutò.
Dopo di che padre Pietro si spostò nel nordest di Honshu, l’isola maggiore del Giappone. La polizia riuscì a catturarlo nel 1639 e lo trascinò a Edo, l'attuale Tokyo, dove per farlo rinunciare alla fede, venne torturato con crudeltà, e infine fu ucciso.
Nei martiri giapponesi del XVII secolo e in quelli dei primi secoli brilla lo stesso potere di Cristo: vi è la stessa chiara coscienza, la stessa indomabile convinzione nel rifiutare di rinunciare alla fede, lo stesso spirito gioioso in mezzo alle crudeli sofferenze, la stessa forza sovrumana, segno che un Altro soffriva in loro. I tormenti e la morte non li hanno travolti. Essi sono stati uccisi, ma hanno vinto».
Liberamente adattato da: Mark Tardiff, Come i martiri dei primi secoli
L’idea della «santificazione del tempo» vede nella messa il punto di partenza della vita cristiana e si concretizza anche attraverso la Liturgia delle Ore, che è la preghiera «ufficiale» della Chiesa.
La Liturgia delle Ore deriva dall’invito di Cristo a pregare incessantemente: «Vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,36).
I monaci ripresero dalla tradizione ebraica l’uso di riunirsi insieme per pregare, in vari momenti del giorno, per ringraziare Dio.
La recita della Liturgia delle Ore non è mai stata, però, esclusiva di monaci e preti; anche nel medioevo molti laici che sapevano leggere lo facevano singolarmente o comunitariamente. Di recente, il Concilio Vaticano II ha raccomandato ai laici di celebrare almeno le ore principali.
In molte chiese, su un tavolo vicino all’ingresso, si trovano spesso i libri per la recita della Liturgia delle Ore, a disposizione dei fedeli. Nelle chiese vicine a molte scuole, studenti cristiani si ritrovano per la recita delle Lodi prima di entrare in classe.
Le «Ore» sono attualmente sei:
- Lodi Mattutine
- Ora Media (terza o sesta o nona = ore 9, 12, 15)
- Vespri e Compieta (prima di andare a dormire).
La Liturgia delle Ore è formata dalla recita dei Salmi del giorno e da brevi letture bibliche.
Le splendide illustrazioni del ciclo dei mesi che adornano le pagine del Libro d’Ore del duca di Berry intendono esprimere l’ideale della santificazione del tempo attraverso la preghiera, di cui la recita della Liturgia delle Ore è l’espressione più alta.
Sono anche una testimonianza dell’uso della recita della Liturgia delle Ore presso i laici (il duca che lo possedeva, infatti, non era un monaco).
Ma non solo i ricchi, come il duca di Berry, pregavano durante il giorno. Nel medioevo i poveri, anche se erano analfabeti, conoscevano a memoria molte preghiere e brani della Bibbia.
E anche in epoca più recente, benché la cultura fosse ancora riservata ai ricchi, come ci ricorda papa Giovanni XIII, «la lettura della Bibbia volgare – cioè in italiano – era così comune … che al dire di certe cronache si udivano talora persino le donnicciole nei loro crocchi cantare delle pagine di alcuni libri della Bibbia mentre filavano» (riferito da U. Neri, Genesi, EDB, Bologna 1995).
J.F. Millet, Angelus, 1857, Parigi, Museo d’Orsay
Io sono il campanile che appena si vede sullo sfondo del quadro, sulla destra. La mia campana ha appena suonato l’Angelus e i due contadini, un uomo e una donna, hanno interrotto la raccolta delle patate per recitare la preghiera che, fin dal medioevo, ricorda il saluto che l'angelo rivolse a Maria durante l'Annunciazione: Ave Maria.
Ho sentito il pittore raccontare: «L'Angelus è un quadro che ho dipinto ricordando i tempi in cui lavoravamo nei campi e mia nonna, ogni volta che sentiva il rintocco della campana, ci faceva smettere per recitare l'Angelus in memoria dei poveri defunti».
La mia campana suona tre volte al giorno: alle 6 di mattina, a mezzogiorno e alle 6 di sera, per ricordare agli uomini la preghiera, che santifica il giorno e il lavoro dell’uomo.
Le vesti indossate dai sacerdoti cattolici durante la messa o la celebrazione dei sacramenti sono molto diverse da quelle che si indossano nella vita quotidiana e possono apparire «strane».
Perché?
Possiamo rispondere che il sacerdote si veste in modo «diverso» da quello normale per mostrare che ciò che sta succedendo nella liturgia è «diverso», non appartiene alla vita quotidiana: attraverso la persona del sacerdote, per i credenti, è Cristo stesso ad essere presente nel Pane e nel Vino consacrati.
Vediamo ora quali sono le vesti che i sacerdoti indossano durante la liturgia:
Stola, pianeta e piviale e tutti gli altri panni che si possono vedere nelle chiese (attorno al tabernacolo o dove si leggono le letture) hanno colori diversi a seconda delle feste o del periodo dell’anno.
Essi sono i seguenti:
- Bianco. È il colore della gioia pasquale, della luce e della vita. Si usa nel tempo pasquale e nel tempo natalizio, nelle feste della Madonna e dei santi non martiri. Si usa anche per la celebrazione dei sacramenti.
- Verde. Esprime la vita nuova della chiesa; viene usato per il tempo «ordinario».
Viola o violetto. Simbolo di penitenza, viene usato in Quaresima e in Avvento, per la stola usata per il sacramento della penitenza (la confessione) e nella liturgia dei defunti. - Rosso. È il colore dello Spirito Santo e del martirio. Si usa nella Domenica delle Palme, nel Venerdì Santo, nella Pentecoste, nelle feste dei santi martiri.
- Rosa. Derivato dal violetto, ma «attenuato»; è usato nelle due domeniche, rispettivamente a metà Quaresima e a metà Avvento, durante le quali si interrompono il digiuno e la penitenza.
Le suppellettili della liturgia
Nella liturgia cattolica si usano, per la celebrazione della messa, alcuni oggetti specifici. Essi sono spesso di metallo prezioso e finemente lavorato per mostrare rispetto nei confronti del Corpo e del Sangue di Cristo in cui, per i credenti, si trasformeranno il pane e il vino che questi recipienti contengono, durante la messa. Oggi si usano anche altri materiali, come, per esempio, la ceramica; la fattura però, è sempre molto curata. Essi sono i seguenti:
Per i cristiani ciò che riguarda il Signore non deve essere trattato con superficialità e, soprattutto, deve poter rappresentare l’amore che i suoi fedeli hanno per Lui.
Ecco perché si dice che le chiese e tutto ciò che sta dentro di esse è consacrato, cioè dedicato a Lui, e benedetto.
Un credente cristiano ragiona istintivamente più o meno così: «Il Signore mi viene incontro dove vuole e io posso vederlo in ogni persona che ha bisogno di me, ma se preparo un luogo in cui andare a pregarlo, in cui celebrare la messa, gli chiedo di custodirlo e di benedire chi lo frequenterà».
La seguente preghiera è stata scritta da sant’Ambrogio e sottolinea la santità non solo dell’edifico chiesa, ma principalmente la santità dei fedeli che lo frequentano:
Ti prego, o Signore,
perché tu quotidianamente custodisca questa casa,
questo altare che oggi ti viene dedicato,
questi fedeli: pietre spirituali,
in ciascuna delle quali ti viene consacrato un tempio vivente.
E ricevi nella tua divina misericordia
le preghiere che i tuoi servi ti rivolgeranno in questo luogo.
Sia per te come profumo di santità ogni sacrificio
che in questo tempio ti verrà offerto
con integra fede e devota sollecitudine.
E mentre guardi quella Vittima di salvezza,
per la quale è cancellato tutto il peccato di questo mondo,
rivolgi il tuo sguardo anche su questi figli
e proteggili con il tuo incessante aiuto,
perché siano per te vittime gradite a Cristo Signore.
E degnati di conservare integri e irreprensibili il loro spirito,
la loro anima e il loro corpo,
fino al giorno del Signore nostro, il tuo Figlio grande.
Ambrogio nacque a Treviri, in Germania, nel 340 circa e morì a Milano, il 4 aprile 397.
Scrittore e uomo politico, fu acclamato vescovo di Milano il 7 dicembre 374.
È venerato come santo e dottore della Chiesa, è patrono della città di Milano, nella quale è presente una basilica a lui dedicata che ne conserva le spoglie.
La memoria di sant’Ambrogio viene celebrata il 7 dicembre, giorno della sua ordinazione episcopale.
La sua immagine, come puoi osservare qui a fianco, è spesso accompagnata, oltre che dal bastone pastorale, anche da un favo di miele o dal simbolo delle api, per la dolcezza dei suoi scritti e delle sue prediche.
A proposito di benedizioni, nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo:
«...Ogni benedizione è lode di Dio e preghiera per ottenere i suoi doni. In Cristo, i cristiani sono benedetti da Dio Padre “con ogni benedizione spirituale” (Ef 1,3). Per questo la Chiesa impartisce la benedizione invocando il nome di Gesù, e facendo normalmente il santo segno della croce di Cristo» (n. 1671).
E anche:
«Alcune benedizioni hanno una portata duratura: hanno per effetto di consacrare persone a Dio e di riservare oggetti e luoghi all’uso liturgico. Fra quelle che sono destinate a persone – da non confondere con l’ordinazione sacramentale – figurano la benedizione dell’abate o dell’abbadessa di un monastero, la consacrazione delle vergini e delle vedove, il rito della professione religiosa e le benedizioni per alcuni ministeri ecclesiastici (lettori, accoliti, catechisti ecc). Come esempio delle benedizioni che riguardano oggetti, si può segnalare la dedicazione o la benedizione di una chiesa o di un altare, la benedizione degli olii santi, dei vasi e delle vesti sacre, delle campane ecc.» (n. 1672).
La persecuzione è un fatto costante nella storia della Chiesa, che certo non le è stata risparmiata nel secolo passato e che continua a tutt’oggi, in questo nuovo millennio.
Per approfondire tale affermazione, già espressa anche nel libro di testo, riportiamo alcuni brani significativi relativi ai martiri di cui abbiamo scritto.
>> Anche l’Italia, che a una occhiata superficiale può apparire «immune da questo rischio», ha visto la propria terra insanguinata dal sangue di vittime innocenti e di pastori d’anime che hanno preferito morire piuttosto che lasciare soli i propri fedeli in pericolo. Nel libro abbiamo infatti ricordato, fra gli altri, i martiri di Monte Sole.
>> Drammatica è ancora oggi la situazione dei cristiani cinesi, come abbiamo descritto nel libro, e che è stata presentata con drammatica chiarezza più volte anche da papa Benedetto XVI.
>> Fra i tanti episodi di martirio che si sono susseguiti negli ultimi decenni, abbiamo ricordato anche quello dei sette cistercensi che hanno dato la vita in Algeria nel 1996. Vi proponiamo il testo della lettera scritta dal padre Christian de Chergé pochi mesi prima di morire.
A queste testimonianze si affiancano ogni giorno quelle di tanti cristiani in tutto il mondo.
Nel dicembre del 1954 >don Lorenzo Milani divenne parroco di Barbiana, minuscolo e sperduto paesino di montagna nel comune di Vicchio, in provincia di Firenze.
Qui egli iniziò il primo tentativo di scuola a tempo pieno raccogliendo alunni di ogni provenienza , tutti uniti dall’incapacità di fare progressi nelle scuole tradizionali.
La sua scuola era alloggiata in un paio di stanze della canonica annessa alla piccola chiesa di Barbiana; con il bel tempo si faceva scuola all’aperto sotto il pergolato.
La scuola di Barbiana era un vero e proprio collettivo dove si lavorava tutti insieme: la regola principale era che chi sapeva di più aiutava e sosteneva chi sapeva di meno, per 365 giorni all’anno. Una scuola insomma che aveva la caratteristica, unica , di avere alunni che VOLEVANO ANDARE A SCUOLA.
Perché?
La risposta del priore di Barbiana era semplice:
«Spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica.
Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola…
Bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. […] Bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero a un livello superiore. Non dico a un livello pari a quello dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto.
E allora vedrete che gli operai verranno, che lasceranno in asso tutte le ricreazioni del mondo, che s’arrenderanno nelle mani del loro prete per lasciarsi costruire da lui.
Da un prete così son disposti ad accettare di tutto: divisioni a tre cifre, verbi, dettato, storia, politica, teologia, scenate, malumore. Tutte le materie son buone e tutti i modi di proporle son buoni».
«I care»
La fede di don Milani si manifestò nella costante cura dei suoi studenti. Il motto di don Milani e della sua scuola infatti fu «I care», ovvero «Mi riguarda, mi sta a cuore, mi prendo cura».
A un insegnante scrisse:
«Quando avrai perso la testa come l’ho persa io, dietro a poche decine di creature, troverai Dio come un premio… Ti troverai credente senza nemmeno accorgertene».
Alle pareti della scuola è appeso ancora oggi un mosaico fatto dagli studenti della scuola; raffigura un ragazzo con l’aureola intento a leggere un libro. È il nuovo santo di Barbiana, il «santo Scolaro».
«I miei eroici piccoli monaci, che sopportano senza un lamento dodici ore quotidiane feriali e festive di insopportabile scuola non sono affatto eroi ma piuttosto dei piccoli svogliati scansafatiche che hanno valutato che sedici ore nel bosco a badare alle pecore sono peggio che dodici a Barbiana a prendere pedate da me. Ecco il grande segreto pedagogico del miracolo di Barbiana; ognuno vede che non ho merito alcuno e che il segreto di Barbiana non è esportabile» .
L’evangelizzazione dell’Europa
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Principi ispiratori dell’evangelizzazione
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Gli oggetti della liturgia
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