La Chiesa siro-malabarese (India sud-occidentale) fa risalire la propria origine alla predicazione dell'apostolo Tommaso che, secondo la tradizione, dopo aver fondato la prima comunità cristiana in Mesopotamia, nell’anno 52 d.C., sarebbe arrivato via mare in India. La tradizione riferisce che egli fondò una comunità cristiana in diverse città del Kerala, sulla costa occidentale del sud dell’India. Sempre secondo la tradizione, l'apostolo morì in quella regione e vi fu sepolto.
A partire dal IV secolo la Chiesa indiana fu posta sotto la giurisdizione della Chiesa assira d'oriente, che aveva la sua sede patriarcale a Babilonia (capitale della Mesopotamia e della Persia), e che ne nominava i vescovi. Dalla Chiesa assira d'oriente deriva l’attuale Chiesa ortodossa siro-malabarese, presente nella regione lungo la costa sud-occidentale della penisola indiana.
Partendo dalla Persia, lungo la Via della Seta, i monaci della Chiesa assira furono i primi cristiani a raggiungere la Cina e, da qui, la Mongolia.
Cina, Mongolia e Tibet
Il primo documento che parla esplicitamente della presenza cristiana in Cina è la stele di Xi'an, conservata nel Museo Provinciale di Xi'an (Cina nord-occidentale). Si tratta di una pietra alta più di 3 metri, scritta in cinese e in siriaco, scolpita nel febbraio 781 e rinvenuta nel 1623. L'iscrizione è intitolata Memoriale della diffusione in Cina della Luminosa religione proveniente da Daqin. Narra la storia della comunità cristiana fondata dal monaco siriaco Alopen, che giunse nel 635 a Xi’an, allora capitale dell’impero, e cominciò a predicare la «religione della luce»; aggiunge anche che l’imperatore Tang Taizhong, con un decreto del 638, aveva permesso la diffusione della religione cristiana, giudicandola «eccellente… vivificante per l’umanità, indispensabile».
La comunità cristiana sopravvisse ugualmente per diversi secoli, pur tagliata fuori da ogni contatto con l'esterno, e poté riprendersi solo dopo la conquista mongola della Cina da parte di Gengis Khan (XIII secolo).
La Chiesa assira aveva infatti continuato ad esistere tra i mongoli; la madre di Kublai Khan (1215-1294), l’imperatore incontrato da Marco Polo, era infatti cristiana. A questo periodo risale il viaggio in Europa di Rabban Bar Sauma, nato vicino a Pechino, una specie di …Marco Polo che viaggiava in senso contrario e che ci ha lasciato il suo diario.
Recenti ricerche storiche hanno fatto emergere la presenza del cristianesimo in Tibet sin dal VI e VII secolo; nell’VIII secolo il patriarca Timoteo I indicò la comunità tibetana come una delle più significative della Chiesa d’oriente.
Per 17 secoli il cristianesimo ha forgiato la storia dell'Etiopia, facendone l'unica nazione cristiana del continente africano. Esso è penetrato così profondamente nelle istituzioni familiari, sociali e politiche del paese, che i cristiani etiopici hanno resistito a pressioni e persecuzioni esterne e interne fino a quella scatenata per 17 anni (1974-1991) dalla dittatura marxista.
L'inizio del cristianesimo in Etiopia risale alla prima metà del IV secolo, quando – come racconta lo scrittore Rufìno di Aquileia (345-411) nella sua Historia ecclesiastica – fu convertito il regno di Aksum.
L'inizio del cristianesimo in Etiopia
secondo Rufìno di Aquileia
Un certo Meropio di Tiro, filosofo, si recò in India per un viaggio d'istruzione, accompagnato da due suoi giovani parenti, Edesio e Frumenzio, che lui stesso istruiva nelle arti liberali.
Sulla via del ritorno, la nave si fermò per fornirsi di acqua sulla costa africana del Mar Rosso, dove fu attaccata dalla gente del luogo in lotta contro l'impero dei romani. Tutto l'equipaggio e i passeggeri furono uccisi: si salvarono solo i due giovani, che furono catturati e offerti in dono al re degli Etiopi.
Impressionato dalla loro intelligenza, il re nominò Frumenzio suo segretario e tesoriere ed Edesio suo coppiere. Al momento della sua morte, il re liberò i due giovani. Ma la regina, alla quale incombeva la reggenza in attesa della maggiore età del piccolo Ezanà, pregò Frumenzio di assisterla nel governo dello Stato.
Approfittando della sua elevata posizione, Frumenzio accolse i cristiani, ne facilitò la predicazione e concesse loro luoghi per pregare.
Giunto il principe alla maggiore età, i due fratelli presero congedo dalla corte: Edesio ritornò a Tiro, dove ricevette gli ordini sacri; Frumenzio si recò ad Alessandria a informare il patriarca Atanasio della diffusione del cristianesimo nel regno di Aksum, esortandolo a mandarvi un vescovo che si prendesse cura di quelle prime comunità di fedeli.
Radunati i suoi sacerdoti, Atanasio discusse la questione e rispose a Frumenzio: “Quale altro uomo potremmo trovare, in cui sia lo spirito di Dio come è in te, e che possa attendere a tale compito?". E lo consacrò vescovo, inviandolo ad Aksum».
Nei suoi 17 secoli di vita, la Chiesa etiopica si è dovuta difendere da minacce e invasioni esterne, ma ha conservato intatto il cristianesimo dei primi secoli. Secondo una definizione cara agli etiopici: l’Etiopia è un’isola cristiana in un mare di pagani.
Scrisse Padre Giulio Barsotti nel 1939:
«In poche nazioni al mondo, il pensiero religioso ha avuto tanta forza di penetrazione e di potenza come in Etiopia... Dal IV secolo, in cui il Vangelo penetrò nel regno di Aksum, fino ad oggi, tutta la vita degli Abissini è stata dominata dal pensiero e dalla dottrina di Gesù Cristo...».
La liturgia etiopica si è sviluppata da quella della Chiesa copta, ma ha introdotto forme che sono tipiche dell’animo etiopico.
Le danze imitano le danze di Davide, i loro canti sono i salmi di Davide, la musica liturgica commuove i credenti.
Durante la celebrazione i canti vengono accompagnati dal battere di grandi tamburi di forma ovale, i caberò, e dal tintinnio dei sistri, strumenti metallici di origine egiziana.
I santi sono celebrati con poesie.
La Vergine è al di sopra di tutti i santi e viene celebrata innumerevoli volte.
I preti salgono tutti i giorni sui colli dove sorgono le chiese.
Le messe durano tre ore e tutti coloro che non sono impediti dal lavoro, dalle malattie o dall'età, devono andare a messa ogni giorno. Nelle grandi solennità la celebrazione inizia a mezzanotte e dura nove ore.
Celebrazione del Natale a Lalibelà.
Durante la messa viene recitato il Credo, che ripete gli stessi dogmi della Chiesa di Roma. Viene celebrata l’eucaristia con la somministrazione del pane e del vino, i preti fanno tre volte il giro della chiesa alla lettura del Vangelo e dei Miracoli di Maria.
► Per vedere e ascoltare una celebrazione del Natale, clicca qui.
I fedeli si raccolgono nel recinto esterno della chiesa, dove danzano, gli uomini a destra e le donne a sinistra. Nel recinto intermedio viene amministrata la comunione; in quello interno, il Sancta sanctorum - il cui ingresso è permesso solo al sacerdote -, viene conservato il tabòt, cioè una rappresentazione delle tavole della Legge, che rende sacra la chiesa.
In Etiopia vi sono 25.000 chiese, in genere povere capanne di fango decorate con immagini sacre. All’esterno di ognuna vi è la «casa del pane», dove viene preparato il pane per l’eucaristia.
Alla sommità della chiesa vi è la croce greca adornata di sette uova di struzzo, simbolo della passione e della morte di Cristo.
Numerose sono le chiese rupestri, celebri quelle di Lalibelà e del Gheralta.
► Se vuoi vedere un video sulle origini della Chiesa etiopica e sulle chiese rupestri di Lalibelà, ascoltando canti religiosi copti, clicca qui.
Quando un etiope passa davanti a una chiesa, china la testa e fa il segno di croce, le donne si fermano a baciarne la porta. Se incontrano un prete si inchinano in segno di rispetto, baciano la croce e si fanno benedire.
Eredità della tradizione copta sono le croci etiopiche, processionali, manuali o da collana, disegnate in centinaia di forme.
La Chiesa etiopica ha mantenuto alcune tradizioni giudaiche, come il tabòt o arca dell’alleanza, la distinzione tra carne pura e impura, la circoncisione maschile a otto giorni dalla nascita, le danze con i tamburi, la forma delle chiese con il Sancta sanctorum al centro, il sabato ecc. Alcune di queste, come la circoncisione, sono semplici usanze e non prescrizioni religiose.
Un elemento diventato fondamentale nella cultura del paese è il digiuno, il più lungo e austero di tutto il mondo cristiano: 56 giorni prima di Pasqua, 40 giorni per la festa degli Apostoli, 16 per l'Assunzione, 40 giorni prima di Natale, tutti i mercoledì e venerdì della settimana, per un totale di circa 250 giorni all'anno, dei quali 180 strettamente obbligatori. Il digiuno consiste nell'astenersi da cibo e bevande da mezzanotte fino al primo pomeriggio o sera, in cui è permesso un pasto; in ogni caso è richiesta l'astinenza da carni, grassi, uova, pesce e latticini.
Vi sono tre forme di matrimonio, una religiosa e due civili. Il matrimonio religioso è indissolubile e viene celebrato in chiesa con la comunione.
Preti e diaconi si possono sposare, ma ciò deve avvenire prima di essere ordinati.
Vescovi e arcivescovi, ai quali è affidata l'amministrazione della chiesa nelle varie province, non possono essere sposati. Il patriarca è necessariamente un monaco.
I monaci fanno tre professioni di fede, con le quali ricevono la cintura, il cappuccio e la tunica. Non si sposano e devono condurre una vita ascetica e austera, con frequenti mortificazioni corporali.
● Ricordiamo che oggi i copti in Italia sono 150.000 (dato aggiornato anno 2010).
(Libero adattamento da: Alberto Vascon, Dossier Etiopia: radicati nella croce,
pubblicato su Missioni Consolata aprile 2006. Da Internet)
Nato nel 1906 a Breslavia, l'attuale Wrocław, in Polonia, manifestò fin da ragazzo la volontà di diventare un pastore evangelico.
Si oppose con fermezza alla dittatura nazista e alle pretese di Hitler di trovare giustificazioni religiose al proprio operato.
Arrestato nell’aprile del 1943, venne impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg all'alba del 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine della guerra.
Durante la prigionia produsse una serie di scritti che verrà poi raccolta nel volume Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, la sua opera più famosa, da cui è tratta questa poesia che ci mostra con parole semplici come in lui convivessero la serena speranza che anima un cristiano e la reale fatica per la terribile prova del martirio:
che esco dalla mia cella
disteso, lieto e risoluto
come un signore dal suo castello.
Chi sono io? Spesso mi dicono
che parlo alle guardie
con libertà, affabilità e chiarezza
come spettasse a me di comandare.
Chi sono io? Anche mi dicono
che sopporto i giorni del dolore
imperturbabile, sorridente e fiero
come chi è avvezzo alla vittoria.
Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?
O sono soltanto quale io mi conosco?
Inquieto, pieno di nostalgia, malato come uccello in gabbia,
bramoso di aria come mi strangolassero alla gola,
affamato di colori, di fiori, di voci d'uccelli,
assetato di parole buone, di compagnia,
tremante di collera davanti all'arbitrio e all'offesa più meschina,
agitato per l'attesa di grandi cose,
preoccupato e impotente per l'amico infinitamente lontano,
stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare,
spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa?
Chi sono io?
Oggi sono uno, domani un altro?
Sono tutt'e due insieme? Davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me uno spregevole vigliacco?
Chi sono io? Questo porre domande da soli è derisione.
Chiunque io sia, tu mi conosci, o Dio, io sono tuo!
Resistenza e resa
È la raccolta delle lettere ed altri testi scritti da Bonhoeffer nel carcere berlinese di Tegel, dove fu detenuto dall’aprile 1943 all’ottobre 1944, per poi essere trasferito nel carcere sotterraneo della Gestapo in Prinz-Albrecht-Strasse. Di lì i contatti furono molto difficili e rari. Il 7 febbraio 1945 fu trasferito al campo di concentramento di Buchenwald, il 3 aprile fu a Regensburg, l’8 aprile passò da Schönberg a Flossenbürg, dove verrà giustiziato.
Le lettere di Bonhoeffer sono inviate a parenti e amici, ai genitori, a un nipote quattordicenne e al fratello Karl-Friedrich, all’amico fraterno e pastore egli stesso Eberhard Bethge con sua moglie Renate, nipote di Bonhoeffer e a qualche altro parente.
Le lettere alla fidanzata Maria von Wedermeyer, con la quale Bonhoeffer progettava di sposarsi, sono invece rimaste a lungo inedite e ora sono pubblicate a parte.
In carcere Bonhoeffer riesce a leggere, scrivere, riflettere, pregare, riceve pacchi dai familiari e lettere, sia ufficialmente, sia clandestinamente.
La corrispondenza con Bethge, che contiene le più importanti riflessioni teologiche di Bonhoeffer, inizia il 18 novembre 1943 durante la prima licenza a Berlino dell’amico, militare in Italia.
In tutti i testi traspare l’accettazione della sofferenza, solo se inevitabile, in piena libertà sulle orme di Cristo.
I predicatori dell’epoca esaltavano la ricerca della via del riscatto e della rinascita dopo la morte, nella Casa celeste, dove il perseguitato avrebbe potuto godere di pace, sentendosi finalmente libero.
A quell'epoca gli afro-americani finirono per riconoscere nel cristianesimo quella forza capace di assimilare le antiche credenze africane in una sintesi di sentimenti e spiritualità, in cui il misticismo opera in termini decisivi. Per i neri americani Cristo non era solo il Messia che ogni cristiano attende e prega, ma era anche una presenza viva, in grado cioè di agire all'interno di una società umana, in cui la giustizia e la dignità di continuo risultavano contraffatte.
L'unica alternativa a questa disumanizzazione della società fu la religione. Perciò, nei testi poetici degli spirituals si manifesta costantemente la tensione dell’uomo ridotto in schiavitù verso l'aldilà, e un costante approfondimento della fede cristiana, che aveva trovato un facile terreno nella congenita spiritualità del popolo africano.
Difficile per noi immaginare il dramma vissuto da quelle persone, trattate come cose prive di valore. Queste foto dell’epoca possono vagamente darci l’idea di quelle vite calpestate e della fede che le ha mantenute vive.
«Oh happy day»
Per molti ragazzi europei Oh happy day è una dolce melodia che accompagna una pubblicità.
In realtà si tratta di uno spiritual che inneggia a Gesù risorto:
Oh happy day |
Oh giorno felice |
Una voce protestante su Maria
Quella che segue è la testimonianza su Maria di Paolo Ricca, pastore valdese e docente di Storia della Chiesa presso la Facoltà Teologica Valdese di Roma. È una delle voci più autorevoli delle Chiese protestanti in Italia. È inoltre membro della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC):
«Scrivo volentieri una mia breve "testimonianza", personale e teologica, su Maria, la madre di Gesù. Essendo nato e cresciuto in una famiglia valdese, fin da bambino ho imparato a conoscere Maria nelle pagine della Bibbia, studiando la vita di Gesù in quella che nelle nostre chiese si chiama "la Scuola domenicale". Fin dall’infanzia si sono scolpiti nella memoria gli episodi tante volte narrati e immaginati della nascita di Gesù, della fuga in Egitto, di Gesù dodicenne che insegna nel Tempio e, ai suoi genitori che allarmati lo cercano, parla di una “casa del Padre mio” nella quale egli si doveva trovare e che evidentemente non è la loro casa di Nazaret. Più tardi fui colpito dalla libertà con cui Gesù allargò la cerchia della sua famiglia, dicendo a coloro che gli sedevano intorno per ascoltarlo: “Ecco mia madre e i miei fratelli. Chiunque avrà fatto la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre” (Marco 3,34-35). Più avanti negli anni imparai a capire e gustare il Magnificat, l’incomparabile inno con il quale Maria annuncia la rivoluzione di Dio, quella dall’alto che abbassa i potenti e innalza gli umili. Fondamentalmente è questa per me, ancora oggi, Maria: la giovane madre di Gesù protagonista di un’avventura più grande di lei, la fanciulla di Nazaret scelta da Dio per compiere, in lei e con lei, il miracolo della sua venuta personale nel mondo e così prendere forma e volto umano, uscendo dal suo mistero e rendendolo in qualche modo ancora più grande. Fin da bambino quindi Maria è stata presente nel mio immaginario religioso, essendo la sua storia così intimamente intrecciata con quella di Gesù e della salvezza. Non si può parlare di Gesù senza menzionare la donna da cui è nato. Lo stesso apostolo Paolo, che non riferisce il nome di Maria, dice comunque che Gesù è “nato da donna” (Galati 4,4). Ma in me, come in ogni cristiano evangelico, questa donna di nome Maria non è mai diventata la "Madonna", oggetto di culto e di preghiera. Tanto familiare è in me la figura di Maria, tanto estraneo resta il culto di Maria. È questa la differenza sostanziale tra cattolici ed evangelici su questo punto: la Maria biblica ci è comune e in questo senso ci unisce, il culto di Maria invece ci divide. La Bibbia parla di Maria, oltre che come madre di Gesù, anche come credente cristiana (Atti 1,14): essa è dunque nostra sorella in fede. Ma appunto, essa prega e invoca, non è pregata né invocata. In un passo almeno Maria diventa figura o simbolo della Chiesa o di parte di essa (Giovanni 19,26-27). Essa resta comunque sempre creatura bisognosa di salvezza come noi. Ecco perché nella Sacra Scrittura non c’è traccia, né diretta né indiretta, di un culto reso a Maria. La Maria più vera, più bella e più amata da tutti i cristiani, è quella biblica, l’“ancella del Signore” che “magnifica”, cioè rende grande mediante la lode, non sé stessa ma il Signore».(Da: Paolo Ricca, pastore valdese, Maria, sorella di fede. Da Internet)
Il Concilio di Trento (1545-1563) si propose di esporre la fede della Chiesa cattolica, basata sulla Scrittura e sul pensiero dei primi Concili, rispondendo però alle nuove esigenze che erano andate via via emergendo, in un mondo in rapida trasformazione.
Nacquero «modelli» e stili di vita e di comportamento profondamente rinnovati, attraverso i quali si esprimeva quello che la Chiesa ritiene essere il proprio compito nella storia: essere presente nel mondo, in modo concreto, per annunciare e portare la salvezza di Cristo.
Grazie all’impegno dei papi, che considerarono loro primario dovere applicare i decreti del Concilio e far osservare le sue decisioni in tutto il mondo cattolico, vennero progressivamente rinnovati ed elaborati gli elementi caratteristici della Chiesa moderna.
Lo slancio missionario, l’impegno caritativo, il rinnovamento degli antichi Ordini religiosi, la nascita di nuovi ordini e la riforma della liturgia furono caratterizzati da elementi di «modernità», che hanno il loro centro nella valorizzazione della persona.
Un esempio della rinnovata attenzione alla persona possono essere le nuove regole religiose previste per diventare suore o frati e per i matrimoni.
La Chiesa affermò che i diretti interessati a sposarsi o a entrare in convento dovevano essere convinti della loro scelta, e che il consenso dei genitori era solo facoltativo. Nelle legislazioni civili dei vari Stati europei, invece, il consenso dei genitori per sposarsi era obbligatorio. Le norme ecclesiastiche non eliminarono la prassi dei matrimoni combinati e delle monacazioni forzate, perché la Chiesa si scontrò con le abitudini consolidate e gli interessi economici dei gruppi familiari di ogni ceto sociale. Essa, tuttavia, nelle sue norme, riconobbe ai singoli, e in modo particolare alle donne, il diritto che noi oggi chiamiamo all’«autodeterminazione»; lo fece in contrasto con le legislazioni civili di quell’epoca, che andavano mettendo le donne sempre più «sotto tutela», cioè dipendenti dalle decisioni di padri e mariti.
Dopo il Concilio di Trento nacquero anche i seminari per la formazione dei futuri sacerdoti; si formò così la figura del prete che è ancora quella a noi familiare: un uomo dedito alla cura pastorale, sempre disponibile ad occuparsi degli altri, capace e preparato.
Il Magnificat
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Antiche origini del cantico di Maria
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