Il rito dell’unzione, che nella liturgia cristiana simboleggia il dono e l’azione dello Spirito Santo, è carico di significati simbolici che derivano da antiche usanze. Come il pane e il vino, l’olio è uno degli alimenti tipici dell’area mediterranea. Tuttavia, oltre che per la cucina, nell’antichità era usato per la cura della persona , per l’illuminazione e a scopi medicinali. L’olio, infatti, a differenza dell’acqua, penetra nella pelle, la trasforma, proteggendola dalle scottature del sole; la rende luminosa e dorata come la «carne» degli dèi, secondo le antiche rappresentazioni delle divinità. Era usato dagli atleti, prima degli incontri di lotta, per rendere scivolosa la pelle e quindi difficile la presa dell’avversario.
Per tutti i motivi che abbiamo descritto, l’olio, dono degli dèi, divenne simbolo di abbondanza e di gioia, di luce e di verità, di salute e di vigore, di purezza e di purificazione.
Presso gli ebrei, ai tempi della monarchia, l’unzione era il rito principale che caratterizzava la cerimonia di ascesa al trono del re. Significava la discesa dello Spirito di Dio sulla persona del sovrano, per renderlo capace di essere strumento di «salvezza» per il popolo: infatti, come l’olio versato sul capo discendeva impregnando i capelli, la pelle e le vesti del re, così lo Spirito del Signore discendeva su di lui. Anche i sommi sacerdoti di Israele venivano consacrati con il rito dell’unzione.
Il rito dell’unzione si è conservato nella liturgia cattolica di quattro sacramenti: il battesimo, la cresima, l’ordine sacro e l’unzione degli infermi. Esso simboleggia il dono e l’azione dello Spirito Santo.
Veni creator Spiritus Il Veni creator Spiritus è un’invocazione allo Spirito Santo e viene cantato a Pentecoste, durante la celebrazione dei sacramenti della confermazione e dell’ordine e in particolari momenti solenni, come l'elezione del nuovo papa. Questo inno liturgico è attribuito a Rabano Mauro, venerato come beato dalla Chiesa cattolica. Monaco benedettino, abate dell’abbazia di Fulda e poi arcivescovo di Magonza (Germania), nacque tra il 780 e il 784 e morì nell’856. |
L’inno è stato scritto in latino; qui sotto ne riportiamo la traduzione in italiano: Vieni, o Spirito creatore, visita le nostre menti, riempi della tua grazia i cuori che hai creato. O dolce consolatore, dono del Padre altissimo, acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell'anima. Dito della mano di Dio, promesso dal Salvatore irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola. Sii luce all'intelletto, fiamma ardente nel cuore; sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore. |
Difendici dal nemico, reca in dono la pace, la tua guida invincibile ci preservi dal male. Luce d'eterna sapienza, svelaci il grande mistero di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore. Sia gloria a Dio Padre, al Figlio, che è risorto dai morti e allo Spirito Santo per tutti i secoli. Amen. |
Nel rito dei sacramenti, tranne che nell’unzione degli infermi, l'olio non viene usato puro, ma misto a profumo, e prende il nome di crisma (da cui la parola «cresima»). Il crisma viene benedetto dal vescovo di ogni diocesi durante la messa crismale, che viene celebrata una volta all'anno, il Giovedì Santo, insieme all'olio dei catecumeni (usato nei riti preparatori del battesimo) e all'olio degli infermi (usato nell’unzione degli infermi). Dopo la messa crismale viene distribuito ad ogni parrocchia. Durante la benedizione del crisma, fra le altre, il vescovo pronuncia queste parole: «...sui nostri fratelli che riceveranno l’unzione di questo crisma, effondi con larghezza i doni dello Spirito Santo…».
Durante la celebrazione del battesimo, i battezzandi sono unti con le parole: «…Dio onnipotente … vi consacra con il crisma di salvezza, perché inseriti in Cristo, sacerdote, re e profeta, siate sempre membra del suo corpo per la vita eterna». Il Catechismo della Chiesa Cattolica così riassume il significato dell’unzione battesimale: «L’unzione con il sacro crisma, olio profumato consacrato dal vescovo, significa il dono dello Spirito Santo elargito al nuovo battezzato. Egli è divenuto un cristiano, ossia "unto" di Spirito Santo, incorporato a Cristo, che è unto sacerdote, profeta e re».
Durante la celebrazione della cresima, il vescovo unge il cresimando sulla fronte, tracciando una croce e pronunciando le seguenti parole: «…ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono».
Nel rito dell’ordinazione di un nuovo presbitero, il vescovo unge con il crisma le palme delle mani dell’ordinando, dicendo: «Il Signore Gesù Cristo che il Padre ha consacrato in Spirito Santo e potenza, ti custodisca per la santificazione del suo popolo e per l'offerta del sacrificio».
Durante il rito dell’unzione degli infermi il sacerdote unge il malato o la persona anziana sulla fronte e sulle mani, dicendo: «Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo».
Padre Pietro Lombardo, o “padre Pierre” come lo chiamano i Pigmei, nasce ad Alcamo nel 1940 da una famiglia di operai: povera ma ricca di fede. È secondo di quattro figli, ma la sua crescita desta qualche preoccupazione: a due anni ancora non cammina. Papà Giovanni e mamma Vita si rivolgono a tanti medici senza ottenere granché, ma non perdono mai la fede e la speranza, e continuano a pregare e a chiedere a Dio di aiutare il loro bambino.
Alla nascita del quarto fratello Pietro ormai ha sei anni e con piccoli passi si avvicina al fratellino appena nato: agli occhi dei genitori questo sembra un vero miracolo.
A sette anni rimane orfano di padre, vittima di un incidente sul lavoro; le condizioni economiche della famiglia peggiorano, ma è in questo periodo e grazie all’incontro con un prete che si prodiga per i poveri che Pietro matura la vocazione a diventare sacerdote. La madre è contenta del desiderio del figlio, ma è anche consapevole dei sacrifici che questa decisione comporterà; tuttavia a 14 anni Pietro fa il suo ingresso in seminario.
Alla fine del liceo classico entra nel noviziato dei Missionari Comboniani e il 25 giugno del 1967 diventa sacerdote e riceve, come primo incarico, il mandato missionario per lo Zaire.
Ecco come padre Pietro Lombardo, in un’intervista rilasciata nel 1996, racconta come è nata la sua vocazione: «Alla morte di papà ... ci siamo trovati poveri in mezzo a tanti poveri e in questa estrema povertà ho incominciato ad amare i poveri. Vedendo un giorno un prete che si prendeva cura dei poveri, ho pensato che per concretizzare il mio amore per i poveri dovevo farmi prete. Entrai in seminario a Trapani e vi rimasi fino alla terza liceo classico. Durante il secondo anno rimasi vittima di una profonda crisi ... mi misi in ricerca di qualcosa di più autentico. Il parlare "libero" di due missionari Comboniani, il loro amore per i più derelitti ... mi fecero tanto pensare. Un "fattaccio" poi, venne definitivamente a sconvolgere i miei piani: a Kongolo, in un piccolo villaggio dell'allora Congo Belga, ventidue missionari furono trucidati. Appresa la notizia su Mondo e Missione, mi sono chiesto: chi prenderà il loro posto? Lo stesso anno entrai nel noviziato dei Missionari Comboniani».
Dal 1968 padre Pietro Lombardo svolge la sua attività missionaria in Africa e, dal 1981, è nella Repubblica Democratica del Congo , in particolare presso il popolo dei Pigmei. Il suo è stato il primo tentativo di annunciare il Vangelo tra i
Pigmei che vivono da nomadi nella foresta dell'Ituri.
Per andare missionario padre Pietro innanzitutto aveva studiato antropologia prima a Roma e poi a Parigi.
I primi tempi erano stati molto duri per la difficoltà ad entrare in contatto con questi “nostri fratelli”, come egli stesso li chiama, ma dopo un anno di convivenza, di vicinanza e di condivisione con le loro abitudini e tradizioni la presenza di “padre Pierre” è stata accettata ed egli trascorre periodi sempre più lunghi di convivenza con questi gruppi di Pigmei nella foresta dell’Ituri.
Essere missionario significa portare il Vangelo, annunciare che Gesù Cristo è morto e risorto per portare la salvezza a tutti gli uomini, ma significa anche cercare e trovare le forme giuste perché questo annuncio possa essere compreso e accolto: questo è stato ed è da sempre l’obiettivo e l’impegno di padre Pietro. Oggi la missione di Byakato, dove operano padre Pietro e i suoi collaboratori è considerata da molti “un isola felice”, in cui differenti etnie stanno tentando di vivere come un solo popolo, con lusinghieri risultati. Comprende diverse basi e una comunità: “Kundi La Mapendo” che significa “Comunità Di Amore” che può contare su scuole, piccole strutture sanitarie e attività per lo sviluppo. L'intuizione felice, suggerita – dice padre Pietro – dallo Spirito Santo, è stata quella di creare grandi accampamenti di pigmei dove queste strutture, gestite per lo più dagli stessi pigmei, operano in maniera efficace rendendo i pigmei stessi protagonisti del loro sviluppo.
In questi anni la Missione è molto cresciuta e oggi “padre Pierre” rimane presso i Pigmei solo due mesi all’anno per programmare e sostenere le attività che vengono gestite e portate avanti dalla popolazione indigena.
- Puoi ascoltare direttamente Padre Pietro Lombardo in una sua intervista.
Scarica il pdf e svolgi l'attività
Gli artisti raccontano l’infanzia di Gesù
Scarica il pdf e svolgi l'attività
Il numero 7, dal punto di vista del significato simbolico, può essere definito il numero dell’Antico Testamento. Dio, infatti, secondo il racconto della Genesi, portò a compimento la creazione in sei giorni; poi, dopo aver creato l’uomo, «portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto» (Gen 2,2). Questo vuol dire che, simbolicamente, tutta la storia umana si svolge nel «settimo giorno», il giorno della creazione.
Nel Nuovo Testamento, i racconti dei quattro Vangeli ricordano che la scoperta della tomba vuota di Gesù avvenne nel «giorno dopo il sabato». Il sabato è il settimo e ultimo giorno della settimana ebraica. I Vangeli non dicono che Gesù è risorto il primo giorno della settimana, come avrebbero fatto se avessero inteso dare un’indicazione puramente temporale. Indicano invece il «giorno dopo» il settimo; con questo intendono dire che con la risurrezione di Gesù è nato un «giorno» nuovo, il giorno dopo il sabato, cioè, appunto, l’ottavo giorno. Se il settimo giorno è il giorno della creazione, della storia umana, l’ottavo giorno è il giorno della nuova creazione, inaugurata dalla vittoria del Cristo sulla morte; giorno senza tramonto, giorno della vita eterna e beata donata da Dio agli uomini nella morte e risurrezione di Gesù.
Il numero 8 diviene quindi il simbolo della risurrezione, della vita eterna, della vita nuova che il credente riceve nel battesimo.
Le vasche e i fonti battesimali, così come i battisteri, sia antichi che moderni, hanno per lo più forma ottagonale.
L’ottagono ritorna anche nelle torri poste sopra le crociere delle chiese romaniche o nelle torricelle che decorano le facciate nelle epoche successive.
Frequenti, nelle arti decorative, sono anche i fiori con otto petali, i rami con otto foglie, le stelle con otto punte, i rosoni con otto raggi… Sono tutti simboli della risurrezione.
I greci e i romani utilizzavano l'olio d'oliva per la cura della persona. Con gli unguenti a base di olio d’oliva si curavano le ferite, si alleviava il prurito e il dolore delle ustioni, si facevano i massaggi contro il mal di testa, si curavano i mali agli orecchi e agli occhi. Nelle terme greche e romane esisteva un locale apposito che veniva adoperato dai bagnanti per ungersi con olio e unguenti; un locale analogo esisteva nelle palestre e veniva utilizzato per cospargersi di olio prima dell’attività ginnica o degli incontri. L’olio veniva spalmato sul corpo, prima e dopo il bagno, e aveva più di una funzione. Innanzitutto serviva come detergente, visto che greci e romani non usavano il sapone; poi, formando sulla pelle una pellicola, proteggeva i pori dall'infiltrazione dello sporco e della polvere e riparava dai raggi solari e anche dal freddo. Durante gli incontri sportivi - soprattutto quelli di lotta - rendeva la pelle scivolosa e quindi più difficile la presa dell’avversario. L’olio usato per ungere la persona veniva contenuto in piccoli vasi di forma tondeggiante o a pera, chiamati ariballi. Nel manico, o in un foro apposito, veniva passato un laccio che consentiva di portarlo appeso a un braccio e di riporlo attaccato a un gancio.
Al termine del bagno o dell’attività in palestra, gli uomini si ripulivano dall’olio, dalla sabbia e dal sudore con lo strigile (da cui la parola italiana «striglia»), una specie di lungo cucchiaio ricurvo con il manico dritto, generalmente di bronzo, ma anche d'argento o avorio.