La parola halab, che significa “latte” in ebraico, si trova spesso nell’Antico Testamento. Tra i numerosi esempi non va tralasciata la sua presenza nel primo menù che la Bibbia ci offre, cioè quello riportato in Genesi 18,8, nell’episodio di Abramo presso le querce di Mamre. Per gli ebrei il latte è una bevanda, un alimento, dalle numerose funzioni e significati: nutrimento, risorsa economica, connotazione sacramentale.
«Anche per il latte vigono regole alimentari piuttosto severe che ne riconoscono il carattere kasher solo se proveniente da animali permessi e se, a partire dalla mungitura, sia stata accertata l’assenza di qualsiasi forma di alterazione o commistione esterne… Notevoli restrizioni vigono per i formaggi prodotti da non ebrei che per secoli, a partire da un’antica decisione rabbinica, sono stati considerati assolutamente vietati. Verosimilmente, la riserva maggiore, formulata a suo tempo dai dottori della legge, riguardava sia un ingrediente fondamentale del formaggio, il caglio – sostanza ricavata dallo stomaco di alcuni animali (vitelli e capretti), indispensabile per favorire la coagulazione proteica del latte –, che avrebbe potuto appartenere a specie animali non kasher, sia la procedura di cagliatura».
Stefania Dazzetti, «Le regole alimentari nella tradizione ebraica», p. 103.
Accertata la legittimità della sua origine, il latte acquista un valore ancora più rilevante quando viene associato al miele: un abbinamento davvero costante. In Esodo 3,8 e Levitico 20,24 i due alimenti richiamano la Terra promessa; in Esodo 16,31 troviamo una focaccia di miele… insomma, i riferimenti biblici sono davvero numerosi!
Mentre per la cucina kasher l’abbinamento carne-latte è proibito (cf. Esodo 23,19) perché rinvia alla gastronomia cananea, quello latte-miele costituisce una prelibatezza culinaria e una precisa ricchezza teologica. Se il latte, per il suo colore, è simbolo di purezza, candore, bellezza (in Genesi 49,12, ad es. si parla di denti bianchi “come il latte”, che dovevano costituire, per l’epoca, una vera rarità. Lo stesso significato si trova anche nel Cantico dei Cantici 5,12 e nel libro delle Lamentazioni 4,7), dolcezza (Cantico dei Cantici 4,11; 5,1), il miele si colloca in un contesto ancora più elaborato. Infatti, in quanto derivato di un animale (ape) illecito, quindi impuro, il miele dovrebbe anch’esso essere bandito dalle tavole.
Tuttavia il Salmo 81,17 parla di miele tratto “dalla roccia”; mentre nel Salmo 19,11 si legge che “I giudizi del Signore sono …più dolci del miele e di un favo stillante”. E ciò lascia capire ben altro! Troviamo altri riferimenti a latte e miele nell’Antico Testamento (Esodo 3,8; 3,17; 13,5), dove divengono simbolo della Terra promessa. Tema biblico ben affermato anche nel libro dei Numeri 13,27; in Geremia 11,5; 32,22 ed Ezechiele 20,6.15.
Ma non solo. Anche i testi post-biblici confermano l’importanza dei due alimenti e soprattutto l’uso di entrambi per caratterizzare il messaggio. Non a caso la Torah è paragonata al vino, all'olio e al latte e miele (Talmud, Cant. R. I, 2), così come latte e miele prefigurano quell’era messianica tanto ambita dall’ebraismo (Gioele 4,18; Isaia 55,1; 66,11) e la Terra Promessa è la terra dove scorre latte e miele, appunto!
Latte e miele sulle tavole kasher |
Si tratta di un abbinamento davvero gustoso: non è certo un caso se piatti e dolci della cucina ebraica, soprattutto, vedono protagonisti questi due ingredienti praticamente in ogni celebrazione di una festa religiosa (Shavuot, Rosh ha-shana e Hannukah: cf. Modulo I.1 on-line). Solo un assaggio: per Rosh ha-shana il miele è protagonista assoluto. La sua dolcezza è augurio per un anno dolce come si ricava, ad esempio dalla Bibbia: «Mangia il miele, figlio mio, perché è buono e il favo è dolce al tuo palato. Sappi che tale è la sapienza per te; se la trovi, avrai un avvenire e la tua speranza non sarà stroncata» (Proverbi 24,13-14). Effettivamente, il miele permette di proporre non solo cibo ma anche suggestioni direttamente legate a Dio: «Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti, perché il ricordo di me è più dolce del miele, il possedermi vale più del favo di miele» (Siracide 24,19-20). Un alimento davvero ricco di significati! |
La kashrut è l’insieme delle regole che normano l’alimentazione kasher. Perché l’ebreo possa consumare un cibo è necessario il rispetto di numerose regole. Queste le principali:
Altre regole valgono per i volatili: manca un elenco preciso nella Bibbia. Tuttavia gli ebrei possono consumare la carne di: oca, anatra, pollo, gallina, tacchino, fagiano, pavone, pernice, starna, quaglia, piccione, colomba. In genere quelli vietati sono uccelli notturni e rapaci: civetta, ibis, cigno, folaga, pellicano, falco, aquila, nibbio, gufo, cicogna, gru, airone, gabbiano, corvo, upupa, struzzo, pipistrello (che però non è un uccello). Ci sono poi norme che valgono per i pesci. Sono ammessi quelli che possiedono sia le pinne che le squame: merluzzo, tonno, sardine, pesce spada (non da tutti però), nasello, carpa, trota, salmone, aringa, pesce azzurro. Vietati invece sono: lampreda, pescecane, anguilla, pesce gatto, storione (ne ricordiamo l’uso in alcuni paesi), rana (anfibio). Crostacei: aragoste, scampi, granchi, mazzancolle, gamberi, gamberetti. Frutti di mare: polipi. Mammiferi marini: foche, delfini, leoni marini, trichechi, capodogli, balene. |