Sono numerosi i tratti gastronomici che ci permettono di riconoscere una tavola imbandita dagli ebrei, i quali trasmettono, attraverso i cibi che consumano, i loro valori religiosi, che trovano precisi riferimenti biblici:
«Il Rabbi di Medziboz disse: “Durante le feste di Tishri serviamo il Signore con l’intero corpo: a Rosh ha-shanah il nostro servizio è fatto con il cervello, dato che la memoria risiede nell’intelletto; a Yom Kippur, il nostro servizio è fatto con il cuore, dato che il digiuno indebolisce principalmente il cuore; a Sukkoth il nostro servizio è fatto con le nostre mani, dato che agitiamo le ‘Quattro Specie’; per Simchath Torah il nostro servizio è fatto con i nostri piedi, dato che balliamo in processione attorno alla Torah”». Daniel Lifschitz, La saggezza dei Chassidim, p. 140. |
Inoltre va sottolineata la presenza di una cucina askenazita e una cucina sefardita che arricchiscono ulteriormente le tavole ebree.
Gli ebrei askenaziti prendono il nome da Ashkenaz che significa «Germani»: sono gli ebrei che hanno radici nordeuropee, noti anche con il nome della lingua che li caratterizza, l’yddish, e la cucina tipica delle popolazioni del nord. Gli ebrei sefarditi, invece, provengono dall’Europa del sud, in particolare dalla Spagna (Sepharad) e si distinguono per una cucina più “meridionale”, del tutto simile alla nostra.
Entrambi sono in tutto ebrei, ma conoscono diversità nelle preghiere e nella lingua. Condividono la stessa fede, ma a tavola i primi privilegiano la carne, i secondi il pesce; mentre i primi preferiscono arrostire i secondi amano bollire; l’alimentazione caratterizzata da patate e rape dei primi, trova nei secondi ampio spazio per un uso importate dell’olio di oliva.
Inoltre va sottolineata anche la cura particolare che gli ebrei riservano alla preparazione della tavola. Mizbeah è una parola ebraica che significa «tavola» ma anche «altare». Preparare con attenzione il luogo dove condividere il cibo assume un valore religioso per gli ebrei, perché tutto acquista un significato preciso. La tavola di Pesach ne è un chiaro esempio. Del tutto diversa, ma egualmente significativa, è quella preparata per Sukkot o per Yom Kippur, quando si apparecchia secondo i criteri della «Tavola dell’Angelo», cioè utilizzando il tovagliato più fine.
È dunque evidente come la gastronomia, genericamente intesa, si occupi veramente di tutto. Vediamo ora nel dettaglio ciò che caratterizza le varie feste ebraiche a tavola:
«Ricordati del giorno del sabato per santificarlo» (Esodo 20,8): nel giorno della settimana dedicato a Dio, shabbat, l’uomo celebra il suo desiderio di avvicinarsi al sacro, consumando a tavola qualcosa che segnala la differenza con gli altri giorni.
La Festa delle Primizie, o anche “Pasqua delle rose” o “Pentecoste” perché cade sette settimane dopo Pesah (quindi anche “Festa delle Settimane”), si celebra il 6 del mese di Sivan, è chiamata anche “Festa delle Legge”.
I testi biblici di Esodo 23,16 e Numeri 28,26 suggeriscono il ricordo della festività improntato alla purezza della Legge: si imbandiscono le tavole con rose e si preparano piatti a base di latticini (il colore bianco del latte è simbolo della purezza della Torah).
Ecco allora giustificate la presenza della Torta al formaggio (detta anche Cassola), della Torta di Shavuot o del Monte Sinai (in ricordo del luogo dove Mosè ricevette la Legge): un mandorlato preparato per l'occasione e consumato soprattutto a Livorno.
Nel Lazio si conoscono dolci fritti di pasta sfoglia ripieni di mandorle insaporite con bucce di limone candite: il Biancomangiare.
Nel primo mese del calendario ebraico, dopo la gioia del capodanno si impone il giorno dell’espiazione caratterizzato anche dal digiuno alimentare. A metà mese iniziano i festeggiamenti in ricordo del periodo trascorso nel deserto prima di entrare nella Terra promessa. Si termina con la festa di Shemini ‘Azeret (“chiusura dell’ottavo giorno”). Infine, Simchat Torah (“Gioia delle Legge”) chiude il mese con la celebrazione del ricordo del dono della Torah: nella liturgia si termina la lettura cursiva con l’ultima pericope del Deuteronomio e si riprende con la prima tratta dal libro della Genesi. |
È il Capodanno (il “capo dell’anno”) ebraico che cade il 1° del mese di Tishri al suono del corno d’ariete, lo shofar.
In che anno siamo? Scopritelo! Vedrete che non corrisponde al calendario cristiano.
La memoria della creazione del mondo e dell’uomo si celebra in cucina con l'uso del fritto. Tra i numerosi piatti che si preparano per questa festa, la Triglia alla mosaica è quello più noto. Nell’anniversario della creazione compiuta da Dio (cos’altro è il capodanno, dal punto di vista simbolico?), una festa che dura due giorni, un altro protagonista è il miele. La sua dolcezza è augurio per un anno dolce e meno amaro. C’è una grande ricchezza soprattutto nei dolci: molto diffuse nella nostra Penisola sono: la Cotognata (mele cotogne tagliate in quarti, steccate con cannella e un chiodo di garofano, cosparse, poi, di zucchero, bagnate col vino e infine cotte a fuoco basso); Frittelle azzime, miele versato sulle fette di mele, Pan di miele.
Particolarmente ricercati i piatti con la presenza di melagrana, simbolo di fertilità e di prosperità, che troviamo spesso nel gelato e nell’insalata.
Levitico 23,27 parla di un giorno del perdono: è tempo di digiuno, per la precisione sono richieste 25 ore di totale astinenza/digiuno. Pertanto il giorno 10 del mese di Tishri, a tavola l’evento religioso è caratterizzano dall’assenza di cibi e bevande.
«Nelle ricorrenze religiose il significato del cibo trascende la sua stessa essenza di nutrimento, materiale e spirituale, per assumere un valore simbolico, oltre che di finalità educativa. È quanto accade nella festa di Kippur, il giorno più spirituale dell’anno, in cui per effetto del digiuno praticato in forma espiatoria, viene annullata tutta la parte materiale della vita». Stefania Dazzetti, «Le regole alimentari nella tradizione ebraica», p. 108. |
Si conoscono piatti la cui presenza indica l’imminenza di Yom Kippur come, ad es. il Bollo, una focaccia generalmente offerta poco prima dell’inizio del digiuno.
Possiamo poi immaginare la gioia che si prova al termine di una prova così impegnativa richiamata dal suono dello shofar, il tipico strumento musicale ebraico ricavato da un corno di animale.
Ecco dunque come anche a tavola si celebra il rinnovamento seguito all’espiazione.
Se la Triglia al forno è un piatto tipico per festeggiare la cena di fine Yom Kippur, non meno importanti sono le portate pensate dopo la fine del digiuno, ma consumate prima della cena. Troviamo così le Bruscatelle di Kippur in Friuli-Venezia Giulia e Piemonte (fette biscottate imbevute nel vino aromatizzato) oppure diversi dolci tra i quali troneggiano le Ciambelle di Kippur.
Possono prendere nomi diversi (Bolo, Bollo, Buccellato), ma Dictinobis – questo il nome preciso delle ciambelle – resta un dolce sefardita composto da farina, uvetta, uova, zucchero: l’ideale, insomma, per non appesantire lo stomaco dopo il digiuno e prima del pasto completo serale. Questa sorta di focaccia soffice si consuma anche per Sukkoth. Segnaliamo, infine, Numide: un piatto a base di uova, olio, farina e semolino cucinati nel pomodoro e carne.
La Festa delle Capanne e del raccolto, che cade sempre nel mese di Tishri nei giorni 15-21, è una celebrazione che impegna i fedeli per una settimana.
Si fa memoria dell’esperienza patita nel deserto. Levitico 23,39-40 precisa il “tono” che deve caratterizzare festa: la gioia.
La dura prova del deserto fu un’esperienza fondante per il popolo ebraico, in parte da rivivere ancora (chi può costruisce una capanna nel giardino o sul terrazzo), ma soprattutto fu un momento di passaggio in vista del ritorno alla Terra promessa.
Potranno allora mancare i dolci in questa occasione? No. In particolare ci saranno i Ginetti di Sukkoth (bastoncini di mandorle) e quei cibi che hanno in sé anche un valore simbolico di gioia, fertilità, benessere: melagrane, pannocchie di mais, spighe di grano.
Infine, per ricordare le “capanne”, quando è possibile gli ebrei vivono e mangiano fuori casa. E se il tema dominante della festa è la gioia, non mancheranno nella cura dell’ambiente molti riferimenti all’abbondanza, alla speranza, alla prosperità. In Italia è diffuso un frutto, come cibo e come decorazione, che per loro ha proprio questo significato: la melagrana.
Per Hanukkah (“Inaugurazione”) si ricorda la ridedicazione del Tempio di Gerusalemme nel 164 a.C. La festa, detta anche “delle Luci” o “dei Candelabri” fa memoria della vittoria dei Maccabei contro il re Antioco IV di Siria nel 165 a.C. Cade nel mese di Kislew, poco prima del Natale cristiano.
Il menù comprende sempre fritti, dolci e salati: tutto tende a rievocare l'olio che serviva per tenere accesi i lumi del Tempio profanato da Antioco. In questa festa, dal carattere storico più che biblico (ce n’è traccia nel Vangelo di Giovanni 10,22), si cucinano ad esempio piatti come il Pollo fritto o le Melanzane alla giudea.
Non meno diffuse sono le Frittelle di farina: particolari sono quelle di patata che si differenziano secondo la cucina askenazita (Latkes) o sefardita (Pampuches).
Negli otto giorni che caratterizzano questa festa i dolci non possono mancare. I Precipizi probabilmente sono tra i più noti: si preparano bastoncini con farina, uova, zucchero, olio e liquore e li si frigge in olio bollente per versarli, poi, nel miele caldo.
Nel mondo ebraico il 14 di Adar (febbraio-marzo, ultimo mese dell’anno) si ricorda la storia di Ester. Nel libro che troviamo nella Bibbia, leggiamo che la protagonista, con l'aiuto dello zio Mordechai, salvò gli ebrei dal tentato massacro perpetrato dal crudele Amman, il quale “tirò a sorte” giorno e mese dello sterminio. Purim è anche ricordata come la festa delle “Sorti”, che fortunatamente non furono dolorose perché, grazie a Ester, mutarono completamente.
La gioia per lo scampato pericolo favorì la trasformazione della festa, che non conosce un rituale liturgico specifico, in una sorta di carnevale: ad accompagnare la lettura della Meghillà di Ester non possono mancare i dolci preparati per l'occasione che rappresentano a tavola il legame strettissimo tra alimentazione e cucina.
L’esempio più noto sono le Orecchie di Amman: strisce di pasta sfoglia a forma di orecchie d’asino fritte nell’olio e spolverate di zucchero (dette anche Frappe o Moscardini: biscotti preparati con cioccolato, farina, uova).
Tipici della festa sono anche: Pignoccate, Marzapane per Monte Sinai, Paste bianche di Purim, Strufoli, Cedrini (crema cotta di mandorle dolci, canditi di cedro, cioccolata fondente, zucchero e vaniglia spalmata su savoiardi bagnati nell’Alkermes), Festoni di Purim, Tasche di Amman (con pinoli e miele), Frittelle di mele di Purim (con mele, limone e cognac).
La gioia di questa festa rende leciti anche comportamenti che, in altre occasioni, sarebbero discutibili: «Ognuno deve ubriacarsi a Purim, fino ad arrivare a non distinguere, in preda agli effetti dell’alcol, tra “maledetto Haman” e “benedetto Mordechai”». (Talmud, Meghillà di Ester 7 b).