Data l’importanza assegnata dalle diverse Regole monastiche all’alimentazione, non apparirà strano il contributo determinante apportato dagli Ordini religiosi, tra cui anche i certosini, alla compilazione di ricettari, testi fondamentali in questi contesti monastici perché permettono la realizzazione di piatti e di menù particolari, assolutamente necessari per chi aveva scelto un’alimentazione che, per i diversi motivi di cui abbiamo già parlato, rifiutava molti cibi. Infatti per sopperire alla monotonia degli alimenti ammessi e dare rilievo alle festività religiose, i monaci-cuochi dovettero specializzarsi.
Come la cucina ebraica kasher, dunque, anche quella dei monasteri rivela la capacità di sopperire alla rinuncia con la creatività. E infatti nei grandi monasteri medioevali, così come negli archivi delle varie basiliche, si trova davvero di tutto. Anche in campo gastronomico. Ad esempio: nella basilica milanese di Sant’Ambrogio a Milano, un fondo raccoglie molte pergamene dal IX al XVII secolo. Si tratta di una miniera preziosissima di informazioni.
Una di queste, datata 1148, descrive un pranzo offerto ai canonici e, proprio qui troviamo il Lumbulus cum panicio cioè la più antica citazione della Cotoletta alla Milanese.
Dal Ricettario |
La Zuppa alla certosina è talmente nota da trovare spazio addirittura nel prezioso volume di Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (ricetta 66). Ricordiamo anche il Risotto alla certosina caratterizzato dalla presenza di granchi di fiume, cosce di rane, pesci d’acqua dolce, brodo di pesce, carote e cipolle. Ci piace pure sottolineare che la vita monastica, così austera in cucina, tuttavia mostra la volontà di non venire meno ai piatti più “dolci”:
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