Islam
“L’aceto cotto con lo zucchero o il miele dà uno sciroppo più o meno denso, secondo la durata del tempo di cottura. Diventa decisamente un caramello… Il sapore è buono, dolce e leggermente acidulo, un sapore insolito… Nelle ricette dei piatti agrodolci, l’aceto e lo zucchero vengono aggiunti nel corso della cottura della carne, quando questa sia quasi a punto, con un poco di amido se si vuole ottenere una consistenza densa o caramellata” (Lilia Zaouali, L’Islam a tavola. Dal Medioevo a oggi, p. 98).
L’aceto, dunque, è ben attestato anche sulle tavole musulmane.
Come abbiamo visto spesso, la nostra alimentazione è il prodotto di molti contributi, culturali e religiosi, che si sono accumulati nel corso dei vari secoli. Nulla di nuovo! Alcuni secoli fa, particolarmente apprezzato era Sikbaj alle melanzane. Sikbaj significa “piatto all’aceto” che, con le melanzane, era ritenuto una prelibatezza per i palati dagli abitanti di Bagdad del XIII secolo.
Già Apicio nel suo De re coquinaria anticipava quello che il tempo maturerà come escabechè per gli aragonesi, un termine che il latino askipitium potrebbe aver trovato come corrispettivo dell’arabo al- sikbaj. Parliamo di una salsa di pesce fritto, pane, aceto e zafferano, oggi detta Scapece.
Dunque, se nel passato l’aceto era ben noto e ampiamente utilizzato, non da ultimo, anche per la conservazione dei cibi, oggi la sua presenza in tante specialità gastronomiche conferma quella stretta relazione che intercorre tra le diverse alimentazioni che abitano il nostro vivere.
Zibibbo |
Pur ricordando i divieti religiosi dell’islam, di cui abbiamo parlato spesso, dobbiamo ricordare qui un altro elemento gastronomico assai prezioso, che appartiene al gruppo delle bevande alcoliche note nel mondo arabo: lo Zibibbo o Moscato di Alessandria. Il nome deriva dall’arabo zabib (“uva secca”): si tratta infatti di un liquore tipico di Pantelleria e dei dintorni della Sicilia, la cui origine è strettamente legata al periodo della dominazione araba in quelle isole. |
