Rendere pan per focaccia
È un’espressione che, quando viene usata, pare ai più negativa: spesso ce ne serviamo per indicare la volontà di ricambiare un torto o restituire un’offesa a chi ce l’ha fatta. Essa deriva dal fatto che le parole «pane» e «focaccia» (dal latino tardo focacia, derivato di focus = «fuoco») rimandano a cibi che condividono proprio tutto: entrambi sono il prodotto di farina, acqua, lievito e sale; entrambi sono cotti nel forno o alla brace; entrambi sono molto gustosi… Peccato per l’uso lessicale negativo!

Siamo alla frutta!
Se è vero che, come dice il proverbio, «il mondo è bello perché è vari», è chiaro che siamo liberi di avere i nostri gusti, così come gli altri hanno i loro. Tuttavia c’è una questione, relativa alla distribuzione delle portate durante il pasto, su cui si è discusso a lungo: quando portare in tavola il dolce?

Prima o dopo la frutta? Per trovare una risposta a questa domanda, un aiuto può venirci anche da lessico. Chi infatti non conosce la locuzione «siamo alla frutta»? È un modo di dire che usiamo spesso quando vogliamo dire, ad esempio che siamo rimasti senza soldi, o che siamo in una situazione problematica e non vediamo vie d’uscita o soluzioni, cioè quando pare proprio che non ci sia più niente da fare.

Questa espressione tipica della lingua italiana sembrerebbe considerare la frutta come conclusione di un pranzo o una cena. E infatti, se diciamo «siamo alla frutta» è perché non c’è proprio più nulla che possa cambiare la situazione: siamo alla fine!

L’immagine cambia però quando leggiamo gli scritti di alcuni personaggi importanti della cultura italiana, che hanno influenzato profondamente anche la nostra tavola. Già Pietro Bembo (1470-1547), una delle figure salienti del periodo rinascimentale, che diede un contributo decisivo alla codificazione della lingua letteraria italiana, scriveva:

«quando vogliono dimostrare che alcuno sia in estrema miseria caduto, dicono di lui essere al verde… Il medesimo si dinota con dire che alcuno sia giunto alle frutte: perciocché questo è l’ultimo cibo che si pon sulle tavole». (Pietro Bembo, Osservazioni sulla volgar lingua, 1525).

Dunque, se, secondo l’uso, la frutta costituisce l’ultima portata del menù, ecco allora che l’espressione «dulcis in fundo» (= il dolce viene alla fine [del pasto]), contiene invece l’augurio che alla fine di un determinato evento della vita, così come di un pasto, non manchi qualcosa di dolce, cioè di positivo.

"Togliere le castagne dal fuoco" e "Cogliere in castagna"
Una conferma della diffusa presenza della castagna nella nostra alimentazione si registra anche nel linguaggio, che ancora oggi mantiene espressioni come «togliere le castagne dal fuoco», detto di chi procura un vantaggio ad altri. Troviamo raffigurato questo modo di dire anche in una delle favole di Jean de La Fontaine, scrittore e poeta francese, autore di celebri favole con intenti moralisti, in cui un gatto si scotta le zampe per togliere le castagne dalle braci a favore di una scimmia: in questo caso viene messo in rilievo il tentativo di far correre ad altri i pericoli di un’azione.

E certamente è noto anche l’uso delle locuzioni «cogliere in castagna» o «prendere un marrone» quando si vuole sottolineare che qualcuno sta commettendo un errore: in questi casi, la spiegazione sta nel fatto che la castagna è il frutto della pianta selvatica, mentre il marrone è quello della pianta coltivata e migliorata con successivi innesti.

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