Tante volte abbiamo visto come numerose espressioni tipiche della lingua italiana si ispirino al gergo specifico della ristorazione e utilizzino immagini legate all’alimentazione per veicolare dei messaggi. Ciò avviene anche con le figure dei santi.
Difficilmente conosciamo qualcuno che non faccia propria l’affermazione «Non sono uno stinco di santo!». Cosa può significare?
Chi non è uno stinco di santo è colui che non conosce scrupoli, qualcuno di cui non è bene fidarsi, una persona che non possiede le prerogative, appunto, dei santi. Dunque da evitare.
Ma cosa c’entra questo modo di dire con l’alimentazione? Precisiamo innanzitutto che nell’immagine dello «stinco» forse c’è un riferimento alla pratica di conservare le reliquie dei santi, che molto spesso sono ossa, e lo stinco è un osso della tibia. Oltre che una parte ben nota in campo alimentare!

Lo stinco di maiale
Non saremo «stinchi di santo», ma possiamo cucinare e mangiare lo stinco dei quadrupedi, cioè quella parte della gamba che si trova tra ginocchio e nocca. Particolarmente apprezzato è quello di maiale, spesso cucinato al forno e accompagnato dalle patate. Il maiale è un animale assai presente sulle nostre tavole. Non meraviglia il suo legame con i santi. Sul libro abbiamo accennato a quello con sant’Antonio abate.
Un’attività lavorativa con profondi legami religiosi è infatti proprio quella del norcino, cioè di colui che macella il maiale e si occupa di lavorarne le carni (il nome può anche riferirsi al gestore della norcineria, ovvero la bottega dove si preparano e si vendono tutti i prodotti derivati dalla lavorazione delle carni di maiale). La parola deriva da Norcia, città natale si San Benedetto che, insieme a santa Scolastica, è protettore della Confraternita norcina. I norcini lasciavano le città (Norcia, ma anche Bologna, Firenze, Roma…) per uccidere i maiali in inverno e lavorarne le carni fino a marzo. Da Norcia viene anche il noto Prosciutto di Norcia, che, guarda caso, è IGP.

Effettivamente, credenti oppure no, nel nostro lessico – «nostro» nel senso delle parole che utilizziamo più frequentemente – il ricorso ai santi è davvero notevole. Infatti, li chiamiamo in causa in molte occasioni.

Qualcuno noterà che si tratta di un dialogo un po’ “fuori dal tempo”, almeno per quanto riguarda i giovani: oggi infatti il lessico giovanile suggerisce ben altre espressioni… Tuttavia quest’esempio dell’uso diffuso di ricorrere ai santi nel dialogo rivela la familiarità religiosa e spirituale del linguaggio comune, che però tende purtroppo a scomparire… Il percorso che stiamo compiendo con A lauto convito può contribuire seriamente a far sì che il patrimonio culturale e religioso non venga mai meno. E in questo anche i santi possono darci una mano!

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