Una definizione che a me piace molto è questa: convivialità delle differenze. Racchiude un po’ tutte le linee fondamentali dell’edificio della pace.
Si parla di convivialità. Quindi, viene superato il concetto di pace come semplice assenza di guerra: se si sta a tavola a mangiare, vuol dire che il menù non è a base di bossoli e bombe a mano. Viene superato anche il concetto di pace come semplice acquisizione di giustizia secondo cui le ricchezze della tavola sono egualmente distribuite a tutti: non basta, infatti, che tutti i commensali abbiano il loro piatto, se poi non si sta a mangiare seduti insieme. E qui, il termine convivialità immette incredibili suggestioni. Fa capire, cioè, che la pace consiste nella solidarietà, simbolizzata appunto da un’unica tavola dove tutti, oltre che mangiare, possono dialogare, scambiarsi le espressioni festose dell’amicizia, e raggiungere una sedia in più per l’ospite che arriva in ritardo.
Oltre che di convivialità, si parla anche di differenze. E questo fa capire che la pace accetta, anzi valorizza, le diversità: non omologa, non uniforma, non manipola le culture degli altri, non annulla il prossimo, ma lo esalta e lo accoglie come valore. Per i credenti in Gesù Cristo, questa definizione ha il vantaggio di far capire l’analogia esistente tra la pace e la vita trinitaria, la quale, appunto, è la convivialità di tre Persone, uguali tra loro, ma anche distinte, che vivono a tal punto la comunione da formare un solo Dio.
Don Tonino Bello
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