Vivere la religione oggi
Religione «usa e getta»
Nella cultura post-moderna l’uomo ha assunto una valenza liquida. Così come una cultura forte si fonda su valori forti, una società frammentata o addirittura liquida è portatrice di valori deboli e a corto raggio, facilmente realizzabili che spesso si confondono con i desideri. Questa concezione della vita spesso determina la ricerca di una religione «usa e getta» proprio come si trattasse di un qualsiasi prodotto commerciale di pronto e breve utilizzo.
Così come i prodotti sono scelti dagli espositori dei supermercati non solo secondo la necessità, ma anche secondo il gusto e la bravura di chi opera il battage pubblicitario (ma la scelta successiva sarà sottoposta sempre a nuove possibilità), anche la fede cristiana corre il rischio di essere una scelta tra le tante, provvisoria, parziale e frammentata. Come si sceglie il detersivo più economico, più efficace o quello reclamizzato secondo il nostro target, ma la cui scelta è sempre possibile variare, così anche la religione è soggetta a scelte di corto raggio e il credente non è «fidelizzato». In altri termini, i «clienti della religione» possono cambiare non solo il prodotto, ma anche il fornitore.
Nel nostro tempo spesso la persona sfugge, per paura, dagli impegni a lunga scadenza, dalle verità e dai valori proclamati in modo definitivo. Così come si opera nella vita, in cui difficilmente le scelte sono «per sempre», anche nella scelta della religione questa diventa provvisoria. Alla religione si chiede la possibilità di una sperimentazione per verificare l’effettiva efficacia nella vita di tutti i giorni e in cambio si concede un’adesione rinnovabile e parziale.
La religiosità in questo modo risulta essere molto soggettiva, sottoposta alle esigenze della persona singola, dell’individuo che si considera il solo capace a leggere la propria esperienza. È ciò che vivono molte persone solidamente ancorate alla fede o alla Chiesa, ma che davanti alle difficoltà reagiscono con un’adesione parziale e condizionata. È la «religione alla carta», del «fai da te» o anche detta «religione patchwork», dove ogni individuo indossa le vesti del cuoco e «si cucina la propria minestra» usando gli ingredienti più graditi.
Religione di facciata o percorsi di senso?
Talvolta in questa situazione si vede l’emergere di una ricerca di spirituale che non sempre coincide con il religioso così come lo si poteva concepire e conoscere nei secoli precedenti. Tuttavia, è necessario notare che questi fenomeni non determinano soltanto aspetti negativi. Da questo stimolo, infatti, emerge un nuovo tipo di credente, più maturo, più critico verso se stesso: un individuo alla ricerca di una fede più personale.
Nel brano riportato all’inizio, il sociologo Franco Garelli parla di «religione dello scenario» intendendo con questa espressione quello stato di religiosità che costituisce solo il fondale, lo «scenario» appunto della vita e a cui ci si collega di tanto in tanto, ma in modo da risultare del tutto insignificante per la persona. È la forma della religiosità popolare che tuttavia non incide sulle scelte vitali della persona.
La fede viene vissuta come qualcosa di totalmente diverso dalla vita di tutti i giorni, distante, senza significato. Le scelte che ne derivano sono esistenzialmente vuote ed eticamente irrilevanti. Molti perciò scelgono la vita concreta di tutti i giorni e la cultura secolarizzata e abbandonano la fede.
A dire il vero molti cristiani desiderano rimanere fedeli alla tradizione religiosa della Chiesa che considerano importante, ma spesso non riescono a congiungere e a integrare, in modo convincente, fede, vita e cultura. Ne deriva perciò un vissuto dualista, in cui l’esperienza di fede, che non si integra davvero nella vita di tutti i giorni, viene sperimentato solo al margine della propria esistenza.
Questa dicotomia, fra vita di fede da una parte e vita di tutti i giorni dall’altra, spesso è vissuta evitando il confronto tra le due esperienze e non ponendo davvero in discussione le esigenze e le idee di due mondi che, in questo modo, finiscono per essere paralleli. In questa scelta di «tranquillo quieto vivere» è necessario evitare di porsi troppi problemi e di farsi troppe domande. Ma è anche possibile avvertire invece un profondo disagio, al limite della lacerazione interiore: tale disagio può giungere sino all’abbandono della fede.
In questo caso vi possono tuttavia essere risvolti positivi: a una religione di facciata e di scenario è possibile contrapporre percorsi di senso capaci di impostare un vero dialogo.