Il cristianesimo nell’età moderna
«Nuova scienza» e Illuminismo
Il rinnovamento degli studi che aveva caratterizzato Umanesimo e Rinascimento, così come l’impulso alla diffusione della cultura dato dalla stampa a caratteri mobili contribuirono a definire importanti cambiamenti nell’insieme della vita culturale e degli studi in Europa.
Lo studio della teologia restava senza dubbio molto importante, ma altrettanto significativi si fecero gli studi di filosofia e di letteratura, di diritto e di storia, e più in generale di tutte le discipline scientifiche: la geografia e l’astronomia, la matematica, la geometria, la fisica. Si affermava anche sempre più forte il principio del pensiero critico, della ricerca empirica, fatta di prove, di esperimenti e di verifiche. Tutto ciò sembrava mettere in crisi i valori spirituali e di fede, la dimensione interiore e soprannaturale.
La mentalità scientifica, con tutta la ricchezza e la positività dei suoi metodi, appariva mettere in discussione, anzi in pericolo la mentalità di fede. E le verità della scienza, dimostrate razionalmente con prove sperimentali concrete, potevano essere considerate opposte, o addirittura «nemiche» delle verità di fede, riferite invece al senso ultimo della vita, alla dimensione trascendente e soprannaturale della realtà umana, al ragionevole e al «non dimostrabile». Molti dei contrasti dipendevano anche da una lettura e interpretazione letterale delle sacre Scritture, senza tener conto del contesto storico e culturale nel quale erano state composte; ma anche nascevano da forti pregiudizi verso gli scienziati, e viceversa e da sentimenti di intolleranza che furono purtroppo spesso quasi la norma nell’Europa del Seicento e del Settecento, e ancora per gran parte dell’Ottocento.
Il «caso Galileo»
Alcuni dei primi significativi contrasti fra la cultura cristiana – sia cattolica sia protestante – nei confronti di quella che sarà poi definita la «nuova scienza» si ebbero in seguito al diffondersi delle teorie eliocentriche. Prima l’astronomo polacco Niccolò Copernico (a metà Cinquecento), poi il tedesco Giovanni Keplero e infine l’italiano Galileo Galilei turbarono l’opinione pubblica europea affermando come fosse il Sole e non la Terra al centro dell’Universo conosciuto. Questa tesi sembrava minare alla radice la veridicità e la fiducia nella Bibbia.
Nel mondo cattolico le teorie di Copernico vennero condannate come eretiche e le sue opere inserite nel 1616 nell’Indice dei libri proibiti. Ma la ricerca scientifica proseguì: Galileo Galilei difese la validità della teoria eliocentrica nel famoso Dialogo sopra i due massimi sistemi (1632), un’opera divulgativa, scritta in italiano. Nel Dialogo Galilei spiegava come il metodo scientifico non fosse assolutamente opposto o nemico o contraddittorio rispetto alla rivelazione biblica: teologia e scienza sono come due strade parallele, due diverse chiavi di lettura per leggere e conoscere la realtà, e non sono in realtà mai in contraddizione fra loro. Nonostante tali argomentazioni, l’opera fu condannata, inserita anch’essa nell’Indice, e Galilei perseguito come eretico. Arrestato, subì il processo del Tribunale dell’Inquisizione, fu condannato come eretico e costretto ad abiurare (1633).
Fra il 1822 e il 1846 le opere di Galilei vennero eliminate dall’Indice dei libri proibiti. Oltre tre secoli e mezzo più tardi, in un contesto storico e culturale completamente diverso, su iniziativa di papa Giovanni Paolo II, la Chiesa cattolica poneva fine al cosiddetto «caso Galileo», riconoscendo l’ingiustizia della condanna e riabilitando completamente lo scienziato italiano.
Il confronto con l’Illuminismo
Lo sviluppo economico comportò nei ceti sociali medio bassi, ma anche nella classe dirigente un sempre più diffuso desiderio di istruzione, di circolazione delle idee, di sviluppo della cultura. Si affermò un nuovo sistema di valori, un nuovo diverso stile di pensiero: fu quella che venne chiamata «civiltà dei Lumi», o Illuminismo, perché ispirata alla ragione umana, posta con grande fiducia e in modo pressoché assoluto al centro del sistema stesso dei valori.
Ebbe a scrivere il filosofo tedesco Immanuel Kant, uno dei più importanti maestri dell’Illuminismo: «Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!». Secondo questi pensatori la ragione doveva prevalere sulla superstizione e l’ignoranza, sul misticismo di molte esperienze religiose, sull’autoritarismo dei principi, sulla stessa fede cristiana e sugli insegnamenti della Chiesa.
Agli occhi della maggior parte degli Illuministi, dunque, la Chiesa apparve come il vero nemico da abbattere. Essa infatti, secondo questi studiosi, si opponeva di fatto alla ragione, chiedendo di credere per fede a cose non dimostrabili attraverso il metodo scientifico, e in Qualcuno – Dio – la cui esistenza non è dimostrabile «scientificamente». Insomma, la scienza e la ragione erano considerate come le uniche verità, la fede e la religione come miserevoli superstizioni. Solo la scienza e la ragione potevano davvero aiutare l’umanità a migliorare le proprie condizioni, a perseguire la felicità e il progresso.
La maggior parte degli illuministi si dichiarò atea, negando l’esistenza di Dio e guardando agli uomini di Chiesa come ai difensori dei «tiranni oppressori» – i monarchi assoluti – e ai «nefasti diffusori di oscurantismo», cioè delle tenebre della superstizione religiosa. E i secoli del Medioevo, nei quali la Chiesa e la religione cristiana avevano profondamente segnato la storia europea, vennero presentati come i «secoli bui», mentre si stavano affermando i tempi ritenuti felici della «luce della ragione».
Fra Rivoluzione e Restaurazione
L’Illuminismo, nato e prosperato in Francia e in Inghilterra, maturò i suoi frutti più significativi proprio in Francia. Le profonde tensioni economiche, sociali e politiche che attraversavano il Regno di Francia da alcuni decenni condussero nel maggio del 1789 alla convocazione degli Stati Generali a Versailles: le riunioni via via sempre più turbolente dell’Assemblea dei tre «Stati» – nobiltà, clero e borghesia – che componevano l’élite dirigente del Regno furono l’inizio di quel processo di profondi radicali mutamenti che sono noti come Rivoluzione francese. Il 14 luglio di quell’anno la presa della fortezza parigina della Bastiglia da parte del popolo in rivolta fu l’evento simbolico che diede inizio alla Rivoluzione che aveva come obiettivo la dissoluzione dell’Antico Regime (ancien régime) e la costruzione di una nuova società, con nuovi valori, nuovi ceti dirigenti, nuova mentalità. La Chiesa di Roma e la fede cristiana vennero considerati elementi costitutivi dell’Antico Regime, espressione di superstizione, di ingiustizia sociale, di privilegio, di costrizione, di assenza di libertà di pensiero e di azione.
L’alleanza fra trono e altare
La conclusione del quindicennio di egemonia napoleonica in Europa coincise con la volontà delle potenze vincitrici – Austria, Prussia, Russia e Gran Bretagna – di restaurare per quanto possibile l’Antico Regime. Le potenze vittoriose su Napoleone si ritrovarono per un lungo periodo a Congresso a Vienna, ospiti dell’imperatore d’Austria. Il Congresso fu l’occasione per rimettere al centro degli interessi culturali, politici e sociali la religione cristiana. Ai margini del Congresso, le tre maggiori potenze continentali, la Prussia, l’Austria e la Russia decisero di sottoscrivere quella che fu definita la Santa Alleanza: un accordo in cui i tre sovrani, ciascuno rappresentante di una delle principali confessioni cristiane del continente – protestanti i Prussiani, cattolici gli Austriaci, ortodossi i Russi – si impegnavano a governare secondo i principi della cristiana religione e a difenderne le istituzioni.
Oltre alla Santa Alleanza, la situazione politica del dopo Napoleone fu caratterizzata dalla cosiddetta alleanza fra trono e altare. I governi della Restaurazione intendevano operare per un pieno ristabilimento dell’autorità e della pratica della fede cristiana.
La Chiesa e lo Stato laico liberale
Nel corso dell’Ottocento, in tempi diversi a seconda delle nazioni, si affermò in Occidente quello che viene definito lo Stato laico e liberale, ispirato in vario modo ai principi del liberalismo economico, politico, culturale. Si tratta di regimi politici e sociali che, pur in forme e con sottolineature diverse, si riconoscono ufficialmente non cristiani e/o non credenti, comunque indipendenti nel loro agire da ispirazioni e motivazioni religiose. I governi liberali, anche quando non ostili al cristianesimo e alla Chiesa, si dichiarano estranei o indifferenti alle realtà, alle motivazioni e alle ispirazioni di tipo religioso. A differenza di quanto avvenuto per secoli, sin dalle più lontane esperienze della storia della Chiesa, la sfera politico-civile si dichiara non solo distinta, ma chiaramente separata da quella religiosa e spirituale.
Pio IX e la condanna degli «errori del tempo moderno»
Nel dicembre del 1864, papa Pio IX faceva pubblicare l’enciclica Quanta Cura e un documento, il Sillabo, che suscitò molte discussioni e commenti (in gran parte negativi) nelle società liberali. L’enciclica è una sorta di commento e presentazione dei contenuti del Sillabo che è sostanzialmente un elenco, in gran parte desunto da precedenti documenti del magistero, di affermazioni contrarie alla dottrina cattolica che vengono condannate.
Si condannano affermazioni proprie del razionalismo e del panteismo, altre relative a socialismo, comunismo e società segrete; dottrine che limitano diritti, privilegi e tradizioni della Chiesa; dottrine che negano la sovranità temporale del romano pontefice; il liberalismo; dottrine che auspicano la separazione dello Stato dalla Chiesa e quelle favorevoli alla democrazia e all’uguaglianza di tutte le religioni di fronte alla legge; affermazioni che negano la sacralità del matrimonio e quelle contrarie all’etica cristiana. Il documento, al di là di specifiche affermazioni, intendeva mettere in guardia i cattolici da una diffusa concezione di vita, sempre più condivisa nel mondo occidentale dell’epoca, che respingeva di fatto ed escludeva ogni autentico spazio alla dimensione religiosa, all’esperienza di fede, ai contenuti della rivelazione.
Un nuovo Concilio ecumenico
Dopo aver proclamato nel 1854 il dogma dell’Immacolata Concezione, e aver pubblicato il Sillabo dieci anni dopo, Pio IX ritenne giunto il tempo di convocare un nuovo concilio ecumenico, che affrontasse in modo sistematico le tante gravi sfide che il mondo contemporaneo poneva alla Chiesa. Indetto nel 1865, dopo lunghi e complessi preparativi il concilio fu convocato a Roma, nella Basilica di San Pietro per l’8 dicembre del 1869. Furono discussi e votati due importanti documenti: la costituzione Dei Filius e la costituzione Pastor Aeternus.
L’occupazione di Roma
Il giorno seguente scoppiò in Europa la terribile guerra fra Prussia e Francia: moltissimi vescovi preferirono ritornare alle loro sedi. Rimasero in Roma solo un centinaio di Padri. Il 20 settembre Roma era occupata dalle truppe dell’esercito di Vittorio Emanuele II: e mentre nasceva l’Italia unita, il Concilio veniva sospeso a tempo indeterminato – lo chiuderà ufficialmente, quasi un secolo dopo, papa Giovanni XXIII – e aveva termine il millenario potere temporale dei papi, iniziato ufficialmente con papa Stefano II e Pipino il Breve nel 754.
Quella che allora fu considerata una terribile sciagura sarà poi valutata da illustri storici e da importanti uomini di Chiesa come un autentico e positivo vantaggio per tutta la cattolicità, e per la missione stessa del romano pontefice. Nel 1962, alla vigilia di un nuovo concilio, il cardinal Montini, futuro papa Paolo VI, così si esprimeva: «Fu allora che il papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimone del Vangelo».
La Chiesa e la questione sociale
Fra Sette e Ottocento un altro evento aveva profondamente e irreversibilmente operato cambiamenti nelle società dell’Occidente: la rivoluzione industriale.
Le innovazioni della tecnologia e le scoperte della scienza, unite a nuovi stili di azione economica avevano comportato la costituzione di grandi centri di produzione, localizzati nelle città: centri di estrazione mineraria, centri siderurgici e soprattutto grandi fabbriche attirarono dalle campagne masse sempre più imponenti di contadini che si trasformarono ben presto in operai. Ritmi e tempi di produzione nei principali settori del tessile, della metallurgia, della meccanica, e poi dei trasporti diventarono sempre più serrati e veloci. Le masse di operai e minatori, uomini e donne e anche bambini furono impegnati in turni estenuanti, fino a dodici e più ore al giorno, talvolta sette giorni su sette, con rarissime pause, pasti ridotti al minimo, salari bassissimi, molti doveri e pochissimi diritti. Per decenni, in condizioni durissime, talvolta disumane, in Inghilterra e in Francia prima, poi via via in tutta Europa e negli Stati Uniti queste masse furono impiegate e sfruttate senza risparmio.
La rivendicazione dei diritti
Solo molto lentamente, grazie al sorgere di associazioni operaie, poi dei sindacati e dei partiti operai, si cominciarono a richiedere e a ottenere, a prezzo di dure lotte sociali, alcuni elementari diritti: questo fu ottenuto anche grazie al diffondersi delle idee del socialismo utopistico, del socialismo scientifico di Marx ed Engels, e del comunismo. La rivoluzione industriale cambiò profondamente il volto e la struttura della società. Nonostante il progresso economico, le masse di operai erano esposte spesso a condizioni di miseria e di emarginazione, al diffondersi di fenomeni di delinquenza, alla disoccupazione, e sempre in condizioni di estrema ignoranza: in questa situazione, sembrava non esserci assolutamente posto per esperienze di fede e di spiritualità.
I santi torinesi
Molto prima di interventi mirati del magistero, fu «dal basso» della Chiesa che cominciarono a maturare esperienze del cosiddetto «cattolicesimo sociale»: si trattò di associazioni di mutuo soccorso promosse da laici, di esperienze di assistenza a malati e a indigenti, di congregazioni religiose che si ponevano come obiettivo l’educazione dei giovani poveri, l’insegnamento di mestieri «richiesti», la costruzione di una sana coscienza cristiana. Vanno ricordate in particolare le esperienze di alcuni esponenti del clero che operarono prevalentemente a Torino: don Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, si dedicò all’educazione dei giovani, «inventò» i primi modelli di contratti di lavoro rispettosi dei diritti dei lavoratori, fondando scuole, oratori e avviando un’imponente attività missionaria verso l’America Latina, l’Asia, l’Africa; don Giuseppe Benedetto Cottolengo creò dal nulla uno dei più importanti ordini religiosi dedicati alla cura dei malati e soprattutto degli ultimi fra gli ultimi, gli handicappati gravi e psicofisici, curati con ogni attenzione nella Piccola Casa della Divina Provvidenza; don Giuseppe Cafasso, che si dedicò all’evangelizzazione e cura dei carcerati e dei condannati a morte, impegnandosi anche, quando possibile, del reinserimento sociale degli ex detenuti. Le comunità cristiane, nelle forme più diverse sceglievano dunque di impegnarsi attivamente nel sociale, al servizio dei più poveri, o per una società meno ingiusta e più solidale.
Il positivo impatto sociale di queste iniziative fu davvero grande.
L’enciclica Rerum novarum
Verso la fine del secolo, anche il Magistero pontificio ritenne importante intervenire in modo autorevole nella questione sociale, avviando e coordinando un filone di attività ecclesiali destinato nel secolo successivo a diventare sempre più importante. Fu papa Leone XIII, succeduto a Pio IX nel 1878, a pubblicare nel 1891 l’enciclica Rerum novarum (Delle cose nuove), incentrata sui problemi legati alla questione sociale, al diffondersi del capitalismo industriale, del socialismo, e di tutti i problemi legati al mondo operaio. Per la prima volta la Santa Sede intervenne in un campo non strettamente teologico e pastorale, ma profondamente connesso alle vicende del mondo in cui la Chiesa deve operare annunciando il Vangelo della salvezza.