Il secolo dopo il Mille
Volontà di rinnovamento
«Un candido mantello di chiese»: così uno dei più dotti cronisti dell’Alto Medioevo, Rodolfo il Glabro, descrive la straordinaria nuova vitalità che in gran parte dell’Occidente, a inizio XI secolo, dimostrarono moltissime comunità cristiane. Ricostruire o fare nuove le proprie chiese fu un segno evidente della volontà di rinnovare il quotidiano impegno nella vita di fede, un modo per ricercare la purezza delle origini della comunità apostolica e per esprimere la propria identità e le proprie radici. Il rinnovamento dei luoghi di culto divenne un segno importante della volontà di rinnovare tutta la vita cristiana, nei suoi vertici sacerdotali, nei suoi testimoni di vita religiosa, in tutto il popolo dei laici.
Fattori di crisi
Nel corso del X secolo, Ottone I di Sassonia pensò di affidare in modo diffuso, in Germania come in Italia, i poteri pubblici dei conti e dei marchesi ai vescovi delle diocesi più importanti. Tali vescovi diventavano suoi «uomini», al punto che sempre più spesso era proprio il sovrano a scegliere il vescovo, e di solito non per i suoi meriti di pastore o di maestro spirituale, ma per le sue capacità di governo civile, o addirittura per le sue attitudini di capo militare. Questi vescovi, scelti fra i membri delle dinastie feudali fedeli alla corona erano più principi che pastori, più conti e marchesi che vescovi. Il loro stile di vita, il loro esempio era sempre più lontano dagli insegnamenti del Vangelo, e costituiva un ostacolo alla fede di molti credenti. Questo condizionamento negativo della Chiesa feudale ottoniana si estese sino alla sede apostolica di Roma.
Nuove esperienze religiose e monastiche
L’esigenza di una forte spiritualità e di rinnovamento della vita religiosa maturò in nuove fondazioni di cenobi e di monasteri. San Romualdo da Ravenna fondava in Toscana, a Camaldoli, un’importante comunità cenobitica e san Giovanni Gualberto, a Vallombrosa, sempre in Toscana, un’analoga esperienza religiosa. In Calabria predicava la riforma della Chiesa san Nilo da Rossano. Ancora più significative saranno le comunità che fonderà in Francia orientale, presso Grenoble, san Bruno da Colonia: la sua Certosa, comunità cenobitica di dodici «fratelli», diventerà un modello che conoscerà grande diffusione in tutta Europa. Ancora più fortunata sarà la fondazione di san Roberto, in alta montagna, a Cistercium presso Chambery.
I cistercensi, con le loro comunità e con le loro aziende agricole monastiche, le grange, saranno un decisivo fattore anche di miglioramento economico delle comunità alpine e di numerose comunità agricole di tutto l’Occidente.
I movimenti laicali
Ma contro la corruzione e il rilassamento dei costumi del clero furono importanti anche i numerosi movimenti laicali. In Nord Italia, e a Milano soprattutto, si diffuse la pataria, che colpiva il clero simoniaco e corrotto, con vere e proprie persecuzioni, boicottaggi, abbandono delle funzioni religiose: un atteggiamento che finì, in molti casi, per sconfinare nell’eresia.
Nella prima metà del XI secolo, con l’imperatore Enrico III, si ebbe l’apogeo e poi la crisi della Chiesa imperiale ottoniana: Enrico nominò o fece nominare per sua influenza più di un papa. Ma fu proprio uno di questi eletti dal favore imperiale, papa Leone IX, che, desideroso di riformare sinceramente la Chiesa e sensibile alle istanze di rinnovamento ispirate da Cluny, promosse l’avvio di un processo che avrebbe portato alla rottura fra Chiesa e Impero.
Leone IX, primo di una serie di grandi papi, diede inizio a una coraggiosa opera di riforma della Chiesa. Condannò in più occasioni, presiedendo importanti sinodi, il nicolaismo e la simonia; affermò la necessità di autonomia dal potere politico nell'elezione del papa e dei vescovi, che fu affidata esclusivamente al clero e al popolo delle rispettive comunità; affermò infine con forza che il papa non può essere né giudicato né deposto da alcuna autorità civile.
Lo scisma tra Oriente e Occidente
Sotto il pontificato di Leone IX maturò il contrasto fra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli, contrasto che, come abbiamo visto, aveva profonde radici nelle diverse lingue e culture delle comunità latine e greche della cristianità. Il crescente prestigio morale e spirituale della Chiesa di Roma, che si andava riformando proprio per iniziativa di Leone IX, era considerato con preoccupazione dal mondo greco. Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, considerava addirittura il prestigio di Roma come una minaccia all’autonomia delle Chiese del mondo greco. Il contrasto di autorità fra Leone e Michele giunse sino al rifiuto di quest’ultimo di riconoscere il primato della Chiesa di Roma, rivendicando questo riconoscimento alla sua sede. Le due Chiese patriarcali si scambiarono allora reciprocamente le scomuniche e ruppero definitivamente la comunione nel luglio 1054: lo scisma fra Oriente greco e Occidente latino si fece da allora in poi profondissimo, e continuò nei secoli, con momenti ulteriori davvero drammatici. La separazione verrà ricomposta solo in tempi molto recenti, dopo il Concilio Vaticano II, da papa Paolo VI e dal patriarca Atenagora: ma si tratta di un processo lento e complesso, tuttora in corso. Un contributo decisivo sarà dato da Giovanni Paolo II e poi da papa Francesco e dal patriarca di Mosca Kirill con lo storico incontro a Cuba nel 2016.
Nuova dignità alla Chiesa di Roma
Nel 1059 papa Niccolò II convocava a Sutri, nei pressi di Roma, un importante sinodo che decretava come il vescovo di Roma sarebbe stato da allora in poi eletto dai cardinali – vescovi, presbiteri o diaconi – cioè da membri del clero romano di Roma e delle diocesi ad essa più vicine, scelti dal papa per essere i suoi più stretti collaboratori e consiglieri. L’eletto sarebbe poi stato confermato dal popolo romano. Non si faceva cenno alcuno all’approvazione, o al coinvolgimento in qualunque forma dell’imperatore.
Qualche anno dopo, nel 1073, il popolo romano acclamava come papa Ildebrando di Soana, che scelse per sé il nome di Gregorio VII. Ildebrando, dopo aver studiato in Italia, era stato monaco per lunghi anni a Cluny e ne aveva condiviso appieno gli ideali di riforma. Richiamato a Roma, era stato consigliere e stretto collaboratore di cinque pontefici: la sua rettitudine e l’impegno nel difendere la dignità della sede apostolica convinsero il popolo a riconoscere in lui la persona giusta per quei tempi di crisi. Gregorio si impegnò instancabilmente a portare a compimento e piena attuazione quella riforma che i suoi predecessori avevano iniziato.
La riforma di Gregorio VII
Gregorio impose fra l’altro a tutti i sacerdoti di vivere obbligatoriamente nel celibato, pena la sospensione dall’esercizio del sacerdozio. Stabilì regole ferree per evitare la compravendita delle cariche ecclesiastiche. Infine dovette affrontare la questione della «Chiesa feudalizzata»: prima, nel 1075, proibì che i vescovi potessero essere investiti del loro ufficio ecclesiale da qualsiasi autorità laica; subito dopo, pubblicò una sorta di «decalogo» dei poteri del pontefice, noto con il nome di Dictatus papae. In questo documento si affermava la superiorità del potere spirituale del vescovo di Roma su ogni altra autorità civile ed ecclesiastica della cristianità e la sua infallibilità e si dichiarava il suo potere di deporre anche i sovrani e gli imperatori se indegni del loro ufficio o ribelli al magistero della Chiesa. Era un’autentica «dichiarazione di guerra» contro il potere sovrano dell’imperatore, che era allora il giovane Enrico IV.
La lotta per le investiture
Stava per iniziare la cosiddetta lotta per le investiture che dividerà per decenni, sino al 1122, tutta la cristianità d’Occidente: con il papa si schierarono il popolo delle città, gli ordini monastici (Cluny in primo luogo) e quasi tutto il basso clero, e i due più potenti principi italiani, il normanno Roberto il Guiscardo e la marchesa di Toscana Matilde di Canossa; con Enrico gran parte dei principi tedeschi, molti vescovi. L’occasione per l’esplosione del conflitto fu la nomina del nuovo arcivescovo di Milano, per la quale Gregorio ed Enrico proposero ciascuno un diverso candidato. Il sovrano tedesco, nel gennaio 1076, fece convocare a Worms un sinodo di vescovi tedeschi che decretò la deposizione di Gregorio e la sua indegnità a essere papa. Gregorio rispose convocando in Roma un concilio di vescovi e scomunicando il sovrano: con l’atto di scomunica, tutti i credenti erano immediatamente sciolti da ogni vincolo di fedeltà e di giuramento nei confronti del sovrano, che diventava «persona da evitare». Enrico, sovrano di un impero fondato sulla fedeltà dei vassalli, vedeva innescata la ribellione dei grandi principi tedeschi e delle sempre agitate città italiane.
L’imperatore, in evidente difficoltà, ai primi di gennaio del 1077 si recò in abito da penitente a chiedere il perdono di Gregorio, ospite della contessa Matilde nella fortezza di Canossa. Il papa, dopo averlo fatto attendere tre giorni alle porte del castello, lo ricevette e lo perdonò, affermando così in modo formidabile la propria autorità spirituale su quella politica del sovrano.
Ben presto Enrico tornò sulle sue posizioni. Gregorio subì aggressioni e violenze e dovette fuggire da Roma per evitare di cadere prigioniero di Enrico, nuovamente ribelle. Morì in esilio a Salerno, ospite del duca Roberto il Guiscardo. La lotta per le investiture si protrasse ancora per lunghi anni, e si concluse solo nel 1122 con il Concordato di Worms. Si trattò di una soluzione di compromesso, che tuttavia consentiva alla Chiesa di mantenere la sua indipendenza e di non essere subordinata al potere civile.