L'etica nella Bibbia
L’esperienza di Israele
Per comprendere il senso della Legge nell’Antico Testamento è opportuno partire da questo versetto: «Io sono il Signore, tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese Egitto, da una condizione servile» (Deuteronomio 5,6). Qui si trova il senso e la motivazione della Legge.
• Affermando «Io sono il Signore, tuo Dio», l’autore biblico riconosce che Dio ha un’autorità assoluta e trascendente.
• Segue il ricordo dell’esperienza condotta da Israele: «che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, da una condizione servile». Questi due elementi, l’autorevolezza di Dio e l’atto di liberazione, sono strettamente collegati tra loro. Dio è riconosciuto come Signore perché ha posto come garanzia un atto di libertà. La Legge donata a Israele segue l’esperienza di liberazione e ha come scopo il mantenimento della libertà e perciò non può essere vissuta come una lunga catena di schiavitù. Israele sperimenta l’azione di un Dio che libera un gruppo di uomini schiavi in Egitto, lo prende per sé, lo eleva al rango di popolo, lo fa diventare sua eredità e popolo sacerdotale.
La Legge non può essere considerata l’obiettivo delle azioni dell’uomo, ma uno strumento per far sì che l’umanità possa rimanere all’interno dell’Alleanza con Dio. Dunque la Legge è l’espressione più vera della relazione esistente tra Dio e l’uomo, ma è anche il termine ultimo di un cammino di maturazione e di crescita spirituale del popolo.
Tutta la vicenda dell’esodo (da leggere nei libri biblici dell’Esodo e del Deuteronomio) trova il suo culmine sul Sinai ed è finalizzata a instaurare una relazione tra Dio e il popolo attraverso Mosè. Dopo aver ottenuto l’impegno da parte del popolo, Mosè torna da Dio e riceve la Legge. Si tratta di un dono che obbliga il popolo ed è proprio da tale impegno che nasce l’Alleanza. Il primo atto morale, dunque, consiste nel riconoscere Dio come Signore e nel ritenere che «sì» possa essere la risposta adeguata per l’uomo all’atto divino della creazione.
Il Decalogo
Nel Decalogo (riportato in due versioni: Esodo 20,2-17 e Deuteronomio 5,6-21) sono contenuti i principi su cui si fonda la relazione corretta con Dio e con gli altri uomini. I precetti negativi indicano i comportamenti da evitare per far sì che l’Alleanza non venga trasgredita. A prima vista si tratta di regole ampiamente condivise dall’umanità. Infatti la novità non sta tanto nelle norme, ma nel fatto di averle poste nel contesto dell’Alleanza con Dio. Così la Legge non può più essere un’imposizione esterna, ma valutata come la risposta dell’uomo, il «sì» all’amore di Dio che interviene e che libera.
L’esigenza della conversione
Nel testo biblico, quasi come filo conduttore di tutte le vicende narrate, risuona l’invito di Dio all’uomo affinché si converta. Convertirsi è prima di tutto un atto religioso (ci si converte a Dio riconoscendolo come unico Signore), e morale (poiché si è riconosciuto Dio come Signore e si è in Alleanza, con lui muta anche il comportamento). Per i profeti convertirsi significava non seguire gli dèi stranieri (Geremia 8,4s), non vivere più nell’in- giustizia sociale e affidarsi a Dio invece di contare sulle proprie forze. Se il senso del Decalogo è la relazione dell’Alleanza, il significato della conversione è ritornare ad avere un rap- porto corretto con Dio. A nulla valgono le pratiche esteriori del culto: è assolutamente necessario che il cuore venga purificato.
I dieci comandamenti
I. «Non avrai altri dèi di fronte a me».
Israele impiegherà molto tempo a riconoscere Dio come unico Dio e a riservare il proprio culto soltanto a quel Dio che l’ha liberato dall’Egitto.
II. «Non ti farai idolo né immagine. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai».
Questa parola non si riferisce solo al numero delle divinità, ma alla forma usata per immaginarsele. Il Dio di Israele è una divinità di cui l’uomo non si deve creare immagini perché è puro spirito. Il rischio per chi si prostra davanti agli idoli è quello di tornare a essere schiavo.
III. «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo».
Essere in alleanza con Dio significa riconoscere che il rapporto con Dio è importante. I sei giorni che precedono la festa sono quelli dell’uomo, ma questo tempo è reso perfetto solo dal settimo, quello della relazione con Dio. Il giorno del Signore consacra tutto il tempo dell’uomo a Dio e riconosce che la storia non appartiene interamente all’uomo.
IV. «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà».
I genitori sono chiamati a collaborare con Dio nel trasmettere la vita. Per questo essi devono essere onorati. Un tempo una vita lunga era segno della benedizione che Dio accordava a chi era giusto.
V. «Non ucciderai».
L’uomo è responsabile della vita dell’altro.
VI. «Non commetterai adulterio».
L’Alleanza con Dio è una relazione esclusiva. Questo rapporto così stretto è assunto come modello della relazione tra l’uomo e la donna, in cui non può esserci tradimento.
VII. «Non ruberai».
Ogni furto è un’aperta violazione all’integrità della persona che si sente violata nel momento in cui viene defraudata nel suo patrimonio.
VIII. «Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo».
È necessario sorvegliare che la parola usata sia corretta, in caso contrario si viola l’integrità della persona e la sua dignità.
IX. «Non desidererai la casa del tuo prossimo».
Il desiderio non è qualcosa che non esiste, ma è già qualcosa di concreto. L’uomo non può volere e desiderare tutto, ma deve porsi dei limiti. Ciò è assolutamente necessario perché consente a tutti gli altri uomini di vivere riconoscendo lo spazio vitale legittimo.
X. «Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
Non si tratta di una parola meno importante delle altre, quasi ci fosse un degradare dalla prima alla decima. Proprio perché posta alla fine, essa riassume tutte le precedenti.
Gesù modello del cristiano
Per il Nuovo Testamento, Gesù Cristo è il contenuto e la norma della vita morale. Se il Decalogo ha senso all’interno del rapporto di Alleanza tra Dio e Israele, per i cristiani è Gesù stesso a essere Alleanza, comunione perfetta di Dio con l’uomo.
In Gesù, Dio si dona agli uomini e l’uomo ha la possibilità di pronunciare il suo sì. Amati per primi, gli uomini sono chiamati a rispondere con l’amore (cf. Prima lettera di Giovanni 3,16). Non si tratta di proferire formule vuote, ma aderire e uniformarsi all’agire di Gesù nella vita quotidiana. L’evento pasquale è il momento in cui Gesù ha fatto dono di se stesso. Si tratta di una circostanza in cui diventa evidente che l’esistenza del cristiano, come quella del Cristo, è un morire per rinascere a vita nuova. Molto significativamente Gesù chiede di aderire alla sua persona e quest’adesione deve concretizzarsi nella sequela: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Matteo 19,21).
Gesù principio di vita nuova
Poiché il cristiano è rinato a vita nuova, anche la sua vita deve essere rigenerata in Cristo (cf. Seconda lettera ai Corinzi 5,17s) che è il modello: l’imitazione di Gesù deve giungere sino al dono totale di sé e della propria vita.
Nella vita e nella predicazione di Gesù, l’annuncio della salvezza, ossia la venuta del regno di Dio viene rivelato prima della richiesta dell’impegno da parte dell’uomo. «Il tempo è compiuto, e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Marco 1,15).
Parole e opere di Gesù
L’opera di Gesù consiste nel guarire e nel perdonare:
• La guarigione. Spesso gli evangelisti presentano Gesù intento a guarire le persone. In questo modo, alla predicazione per mezzo di parabole Gesù accosta i miracoli, affinché siano segni della venuta del Regno. Tuttavia il miracolo è un segno ambiguo perché non può essere compreso da tutti, ma soltanto da chi crede in Gesù, perché è capace di dare senso a ciò che si sta manifestando sotto i suoi occhi e cogliere di conseguenza il messaggio: la presenza del Regno. L’incredulità ostacola la comprensione del senso del miracolo.
• Il perdono. Gli evangelisti presentano Gesù intento a perdonare, altra modalità attraverso cui Gesù esprime il suo annuncio. Il perdono di Gesù è espressione di un intervento assolutamente gratuito da parte di Dio. Quando Gesù siede a mensa con i peccatori vuole annunciare la presenza di Dio in mezzo a loro e la sua determinazione a riacquistare tutti gli uomini e riconciliarli con Dio. Dunque il regno di Dio non viene con guerre e manifestazioni di potenza, ma accompagnato dal perdono e dalla riconciliazione.
E nei gesti di Gesù è evidente sia la disponibilità incondizionata di Dio che accorda il perdono, sia l’attesa della risposta dell’uomo che dovrà concretizzarsi in uno stile di vita nuovo.
Se la decisione di seguire Gesù è autentica, essa ha bisogno di esplicitarsi nella concretezza della vita. Nella sua predicazione spesso Gesù si occupa della Legge: egli si mostra polemico nei confronti dell’applicazione arida della norma. Tuttavia la funzione della Legge esterna non è affatto superflua e, come un maestro, Gesù richiede la perfezione che è data dalla relazione con Dio: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Matteo 5,17); «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Matteo 5,48). Gesù non si presenta come un fondamentalista e pone donna e uomo al centro del Vangelo, che contiene in sé il desiderio di liberazione per condurre l’uomo dentro la pienezza della vita, invitandolo a non fermarsi al peccato, ma a confidare nella misericordia di Dio e a imitarlo.
Uomini e donne secondo la prospettiva di Dio
Dal testo delle Beatitudini (cf. Matteo 5,1-12; Luca 6,20-26) si può cogliere la realtà degli uomini vista secondo la prospettiva di Dio. Da una fiduciosa e profonda relazione con Dio scaturisce una corretta relazione con gli uomini. Poiché il regno di Dio si manifesta in Gesù, l’evento-Gesù illumina di senso la realtà dell’uomo e dell’intera storia. Si tratta di un’etica profondamente religiosa perché dichiara che la Legge non è stata data perché l’uomo si auto-perfezionasse, ma perché realizzasse l’unione di amore con Dio. Quindi la priorità per il credente non consiste nel cercare di perfezionare se stesso applicando la Legge, ma nel desiderare di perdersi in Dio per potersi ritrovare secondo il suo sguardo. In questo modo il credente muore a se stesso e al proprio egoismo per rinascere nella carità alla vita nuova dei figli di Dio. Nelle Beatitudini, i due evangelisti (Matteo e Luca) elencano uno dopo l’altro valori come povertà, mitezza, purezza di cuore, sete della giustizia che non corrispondono alla mentalità del tempo di Gesù, e stentano a essere riconosciuti oggi; tuttavia si tratta di esigenze richieste al cristiano per il fatto di trovarsi in relazione d’amore e di comunione con Dio, e di aspirare al dono totale di sé ai fratelli.
Paolo e la Legge
Paolo di Tarso ebbe modo di studiare la Legge a Gerusalemme da un pregevole esperto, il rabbino Gamaliele il Vecchio. Molto stimato per la sua competenza, assai ligio nell’osservanza dei precetti, Paolo, che non ha remore a confessare il suo vissuto da fariseo, dopo la conversione afferma che il cristiano non è più sottoposto alla Legge. Dio ha dato la Legge perché l’uomo prendesse coscienza del proprio peccato. Si tratta di una condizione drammatica: la Legge infatti dà all’uomo la conoscenza di essere nel peccato, ma non gli comunica la grazia sufficiente per vincerlo. Per comprendere meglio, leggiamo il brano della Lettera ai Romani nel riquadro sotto.
Di qui scopriamo che la Legge non è cattiva in se stessa, anzi,essa rende consapevole l’uomo del peccato che sta compiendo, ma è inidonea a fornire la vita e la giustificazione. Secondo Paolo, Dio ha dato la Legge affinché gli uomini prendessero coscienza che non possiedono la forza necessaria per vincere da soli il peccato e che la salvezza può giungere solo dalla fede in Gesù e dall’adempimento delle promesse da parte di Dio. Secondo l’apostolo, la funzione affidata alla Legge (Lettera ai Galati 3,24) era quella di fungere da pedagogo per condurre l’umanità a Cristo e tramite lui far sì che gli uomini potessero essere giustificati mediante la fede.
Nella Lettera ai Galati (3,15-18) Paolo afferma che la salvezza si ottiene in virtù delle promesse fatte ad Abramo e non per l’osservanza della Legge. Questa promessa si è compiuta in Gesù (cf. Lettera ai Romani 8,3-4; Seconda lettera ai Corinti 1,20) attraverso la sua redenzione: tutti infatti hanno peccato, ma tutti sono redenti da Cristo (cf. Lettera ai Romani 3,23-26).
La conversione
La conversione è per Paolo un atto attraverso cui l’uomo, aderendo alla fede in Cristo, viene liberato dal potere della morte. Nel Battesimo il cristiano vive il passaggio dalla morte alla vita in Cristo. È per questo che al cristiano è chiesto di rinunciare all’uomo vecchio per rivestire l’uomo nuovo (cf. Lettera ai Colossesi 3,1-4), un uomo che è capace di rispondere in modo incondizionato (libero) all’amore di Dio (cf. Lettera agli Ebrei 8,10-12; 9,13ss).