Il valore e la norma
Che cosa sono i valori?
Il termine «valore» può essere riferito a qualcosa di ideale e non ancora realizzato. Oppure valore può essere una realtà concreta che temiamo di perdere e che vogliamo tutelare. Il valore incarna l’idea del bene e ciò contrasta apertamente con l’idea del male. Possono essere considerati valori quegli orientamenti che aiutano gli individui a raggiungere determinati fini. Valori e fini (oppure mete e scopi) sono collegati tra loro. Spesso per raggiungere il fine ultimo, e quindi il valore più alto, l’individuo deve procedere per gradi e realizzare fini e valori intermedi. Ad esempio, per raggiungere la sicurezza sarà necessario prima realizzare la protezione di una comunità dalle calamità naturali e difenderla dai nemici.
Se il valore è collocato in un ambito terreno, l’impegno dell’individuo sarà orientato alla sua realizzazione su questa terra. Ma il valore può aprirsi anche a un orizzonte ultraterreno. Sono questi i valori che plasmano la visione del mondo. Essi sono legati alla visione religiosa e morale, hanno a che fare con ciò che è ritenuto bene e ciò che è valutato come male.
Valori universali
I valori universalmente condivisi esistono.
Ciò appare evidente nel momento in cui li poniamo in relazione con i relativi disvalori.
Tuttavia questi valori non sono stati riconosciuti come tali da sempre, ma hanno avuto un lungo periodo di formazione.
Un esempio può essere il valore della pace che l’umanità, nel suo insieme, ha fatto emergere dopo la tragedia della seconda guerra mondiale. Da allora in poi ha perso di significato il valore della guerra come principio in base al quale stimare la forza di una nazione. Tuttavia sappiamo che il valore della pace è molto fragile. Chi non ha conosciuto gli orrori della guerra spesso fatica a ritenere che la belligeranza sia un disvalore. Se il contenuto di un valore non fa parte della memo- ria collettiva si rischia di ritornare a celebrare le imprese guerresche come segno dell’onore di un gruppo. Alcuni poi giungono a ritenere che la guerra possa essere santa. Per ottenere la pace è necessario introdurre con maggior forza i valori della reciprocità, del rispetto e la conseguente svalutazione della violenza. Ma tutto ciò a livello sociale non può essere realizzato se i rapporti personali vengono impostati secondo la logica della violenza. Un altro valore universale è quello della vita, anche se in realtà la cultura abortista sembrerebbe non accettarlo. In questo modo la persona umana si trova a essere minacciata al suo nascere. In alcuni casi si vorrebbe giustificare l’aborto giocando sulle parole e qualificando questa pratica come intervento terapeutico. Ovviamente l’aborto non può essere una terapia giacché il bambino non viene curato, ma soppresso. Il cosiddetto «aborto terapeutico» è in realtà utilizzato per scopi eugenetici, ossia per evitare la nascita di bambini gravemente malati o che presentano malformazioni. Ugualmente dobbiamo registrare che alcune frange estremiste e fondamentaliste hanno una cultura della morte che estende la sua nefasta influenza a tutto l’arco dell’esistenza umana. La minaccia contro la vita continua con la richiesta di poter ricorrere alla pratica dell’eutanasia nel momento in cui si pensa che la vita di una persona, solitamente un ammalato, non sia più degna di essere vissuta. Tuttavia, il fatto che la vita di un essere umano non sia qualitativamente accettabile è una valutazione che deriva dal modello di uomo efficiente ed edonista che la società moderna ha sapientemente instillato. Piuttosto che di qualità della vita occorre parlare di sacralità della vita.
Altri valori universali che è necessario ricordare sono libertà, uguaglianza e dignità della persona. Essi ci interrogano profondamente davanti al dramma dei migranti, individui che fuggono dai loro Paesi e abbandonano le loro case perché privati della libertà di parola, di religione, ma prima di tutto della fondamentale libertà di vivere onestamente la loro vita. Si tratta di esseri umani che, in quanto tali, godono della dignità umana. Tuttavia sia nei loro luoghi di origine, sia nei centri dove giungono sfiniti, troppo spesso si fatica a riconoscerli in quanto persone, con uguali diritti, e a esigere da parte loro uguali doveri.
Un’interpretazione sofferta
Il fatto che molti diritti fondamentali siano stati inseriti tra i valori universali fa sì che la sensibilità aumenti tutte le volte che essi vengono violati. L’emergere dei valori universali non è qualcosa di scontato, ma è il frutto di una lunga lotta ingaggiata da uomini e donne che li hanno riconosciuti come tali, che hanno creduto nella loro validità, e che hanno cercato di farli rispettare a volte a prezzo della vita. Potete trovare un elenco dei diritti universali nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000).
Pluralismo e gerarchia di valori
La società in cui viviamo fa esperienza del pluralismo dei valori, anche se non è un fenomeno esclusivo del nostro periodo storico. Certamente, nella società preindustriale o in comunità semplici, i bisogni erano molto più omogenei e così pure si può dire degli interessi e dei valori. Nelle nostre società è necessario saper riconoscere i valori e verificare se possano essere assunti con altri che ci vengono proposti oppure se siano in conflitto.
Per questo è essenziale stabilire una gerarchia di valori. Quasi tutti riconoscono che ci sono «valori ultimi», o irrinunciabili. Tuttavia i valori sono ordinati tra loro in modo gerarchico con un rapporto di superiorità/inferiorità. Potete pensare questa gerarchia come a una catena di mezzi e di fini intrecciati tra loro. Un esempio può essere quello dell’albero. Se ci pensate le foglie sono unite ai rami e questi al fusto, ma tutto l’albero è sostenuto dalle radici. Proprio queste, le radici, sono i valori ultimi. Così come un albero non può rimanere ancorato al terreno senza radici, anche le scelte di una persona non possono essere ordinate una all’altra senza un valido fondamento valoriale.
Il valore della diversità
La secolarizzazione ha sganciato i valori dalla religione e dalle grandi costruzioni ideologiche. Sulla scia di filosofie nichiliste (cf. Nietzsche), si è iniziato a parlare della «morte dei valori».
Ma ciò non significa che non ci siano più valori. Continuamente vi sono gruppi che mobilitano nuove energie e formulano nuovi valori, come è avvenuto ad esempio per la tutela dell’ambiente.
Pensate alla necessaria tutela del diverso e dell’altro da sé. Questi due valori appaiono tanto più importanti quanto più forte è la loro negazione, come avviene nelle società multietniche o durante le guerre. Altro valore emergente è l’uguaglianza nella diversità, rivendicato soprattutto dalle donne.
La legge naturale
Secondo la Chiesa, Dio ha donato all’uomo la capacità di controllare le sue azioni e di orientarsi verso la verità e il bene. Quando si parla di legge naturale, perciò, si ha l’intenzione di riferirsi a questo senso morale originale che consente all’uomo, usando la ragione, di distinguere il bene e il male, la verità e la menzogna. Questa legge è detta naturale perché la ragione, di cui l’uomo si serve per distinguere ciò che è bene, appartiene alla natura umana: seguendo la ragione e la legge naturale l’uomo può compiere il bene. La legge naturale mostra all’umanità le norme essenziali che devono essere seguite per regolare la vita morale: abbiamo un esempio di legge naturale nei precetti esposti nel Decalogo. La legge naturale è presente all’interno del cuore di ogni uomo, immutabile, eterna, universale. In base alla legge naturale è possibile stabilire la dignità della persona con i relativi diritti e doveri.
Ogni legge vera, vale a dire conforme alla legge naturale, ha il compito di trattenere l’uomo dall’errore e perciò non può essere falsata da una legge positiva, ossia da una norma inserita all’interno di un codice civile. La legge naturale può richiedere un adattamento alle specifiche condizioni di vita di un’epoca o di una circostanza. Tuttavia essa non può essere stravolta poiché i valori che la esprimono restano sempre validi.
Il diritto positivo
Per diritto positivo o legge positiva si intende l’intero corpo di leggi o una singola legge emanata da uno Stato. Attraverso le leggi, uno Stato intende organizzare la vita e i rapporti dei cittadini tra loro, stabilendo ciò che si può e ciò che non si può fare. La legge positiva non è universale, non è eterna, ma dipende dal momento storico e dalla cultura che l’ha approvata. Così può accadere che ciò che è ritenuto giusto in un Paese, sia ritenuto ingiusto in un altro, ma anche che le leggi siano modificate tenendo conto delle mutate condizioni sociologiche, economiche, psicologiche. Giusto, all’interno di questo contesto, è tutto ciò che viene normato dalla legge, ma non è detto che ciò che la legge ammette sia per ciò stesso veramente giusto secondo la legge naturale. È in questo contesto che possiamo parlare dell’obiezione di coscienza, il rifiuto di ottemperare a una legge da parte di chi la ritiene inconciliabile con la propria coscienza. In questo caso, infatti, la legge positiva si rivela essere una «legge ingiusta» che, come già ricordava san Tommaso d’Aquino, non può in alcun caso obbligare in coscienza: «Lex iniusta, nulla lex».
La legge naturale non si identifica con nessuna legge positiva. Tuttavia il legislatore, se intende agire eticamente, non la può ignorare.
Perché le norme devono essere seguite?
Spesso le nostre azioni sono dettate dal conformismo, vale a dire dall’influsso che il comportamento degli altri ha su di noi e che ci porta ad agire perché «così fan tutti». In altre occasioni agiamo in un determinato modo perché riteniamo che quello sia il modo adeguato per farlo. Se devo cucinare un piatto di pasta mi procuro una fonte di calore, una pentola per far bollire l’acqua, del sale e certamente della pasta.
Le norme si differenziano dal conformismo, dalle abitudini e dalle norme tecniche (ossia quelle che mi consentono di farmi la pasta) perché quando vengono violate prevedono sanzioni. Ovviamente queste sono comminate a seconda della gravità della violazione. Se l’inquilina del piano di sopra passeggia con i tacchi alle quattro di mattina le negherò il saluto, ma l’omicida deve avere una pena detentiva.
Si può pensare che la gente agisca osservando la norma perché vi sono sanzioni esterne prescritte da persone incaricate dallo Stato. Tuttavia se la gente rispetta il semaforo, non calpesta le aiuole, paga le tasse, non uccide il prossimo, non ruba lo fa non solo perché teme gli vengano imposte multe o debba pagare il conto con la società, ma perché sente un obbligo interno. Questo obbligo interno, quasi fosse la decisione di un tribunale, fa sì che la persona si senta in colpa quando trasgredisce. Il sentirsi non adeguato è la sanzione interna. Affinché ciò possa avvenire tuttavia occorre che le norme siano state interiorizzate e ciò avviene durante l’educazione ricevuta dai genitori, dagli insegnanti, dagli amici e dalle figure di riferimento.