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Il primato della carità

Abbiamo iniziato la nostra argomentazione affermando che l’Alleanza se, per un verso, è offerta di amore da parte di Dio, dall’altra è richiesta di risposta da parte dell’uomo. La pienezza di questa relazione sta nella carità, termine che in ebraico si può tradurre con ahabh, un amore pieno e totale che coinvolge mente, cuore e volontà. Il Nuovo Testamento utilizza la parola agape, tradotto in latino con caritas, ossia quell’amore speciale che viene da Dio e che fa ritorno a Dio. Quest’amore si è incarnato in modo definitivo in Gesù Cristo. Egli, avendo risposto con un amore pieno e totale al Padre, chiede che anche i cristiani rispondano col medesimo amore. Già nel giudaismo era presente il comandamento dell’amore, che riassumeva e dava unità a tutti i precetti della Legge: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti siano fissi nel cuore» (Deuteronomio 6,4-6).
Quindi l’amore per Dio è il primo dovere per ogni israelita. Il secondo invece è la risposta che viene dilatata a comprendere tutto il prossimo (all’inizio soltanto chi apparteneva al popolo; in seguito il concetto venne allargato allo straniero, al pellegrino ed esteso alle categorie più deboli come le vedove, gli orfani e gli schiavi (Levitico 25,25-43; Deuteronomio 10,18s): «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Levitico 19,18b). Amore per Dio e amore per il prossimo sono indisgiungibili anche nel messaggio dei profeti.
Gesù condensa insieme questi due elementi e li ripropone inseriti in un’ottica assolutamente inedita: «Un dottore della Legge lo interrogò per metterlo alla prova: Maestro, nella Legge qual è il grande comandamento? Gli rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo è poi simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Matteo 22,35-40; cf. Marco 12,20-31 e Luca 10,27).

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Il senso della grazia

Il discorso sulla grazia oggi rischia di non aver senso, mentre molta attenzione si presta ad altri termini di tipo etico e morale come l’amore per il prossimo, l’aiuto agli immigrati, la salvezza del creato.
La parola stessa «grazia» è talmente logora da avere molti significati (la grazia sia con voi, ho ricevuto una grazia, chiedo una grazia, fammi la grazia, ecc.) al punto tale da non comunicare più nulla. A volte la persona può persino credere di avere a che fare con un fluido invisibile, che aumenta o diminuisce a seconda che si compiano particolari riti, oppure può essere considerata come qualcosa di astratto e di aggiunto all’interno di una realtà umana che ne potrebbe fare a meno.
A volte si crede che la grazia sia qualcosa che permette all’uomo di auto-realizzarsi, di riuscire a vivere una vita sensata così come desidera.
Nella nostra società liquida sono tanti i desideri e un certo modo di interpretare l’esperienza religiosa può far pensare che la grazia possa essere l’energia giusta per soddisfarli.
La grazia tuttavia non è ciò che ci permette di gustare le piccole felicità della vita, se ci accontentiamo di ciò che abbiamo, né un’energia che ci consenta di andare oltre, se pretendiamo di più. La grazia non è ciò che ci consente di raggiungere le mete della nostra vita, di non patire la morte come limite della vita e di superare gli eventuali stadi di depressione nella solitudine, sempre più frequente. La grazia non è la nostra autorealizzazione, non coincide col concetto di wellness, quel benessere olistico psicosomatico tipico di una religiosità estatica, che confonde il benessere con la salvezza. In questo contesto si crede che la vita di fede debba servire a far star bene e a realizzare completamente le proprie aspirazioni. Così la vita di fede, la vita col Cristo proposta dal cristianesimo, sarebbe una particolare terapia che può essere scelta da chi vi si trova bene, come altri invece potrebbero trovare giovamento nello zen o nello yoga.
La grazia è un’offerta di salvezza che Dio dà all’uomo, non è qualcosa di dovuto, ma è invece un dono. Ciò che l’uomo deve essere è donato da Dio in Cristo. La grazia è una proposta di vita che, superando il peccato dell’uomo, gli permette di vivere in pienezza.
La natura umana è strutturalmente aperta al disegno di Dio. Non esistono due uomini: uno naturale e l’altro soprannaturale. La grazia è dono e viene incontro all’uomo, così com’è, perché non esiste nessun uomo che sia stato creato senza il desiderio interiore di aprirsi a Dio. I cristiani non pensano che la grazia sia qualcosa che possa riguardare solo il singolo individuo, che si regola i propri conti con Dio. Poiché la grazia proviene da Dio in quanto dono, ha come modello la vita di relazione della Trinità e la vita di Cristo. Ciò significa che la grazia aiuta l’uomo a modificare se stesso, ma anche la storia. La salvezza che Dio dona all’uomo non coincide con un’astratta visione beatifica, ma è qualcosa che progressivamente aiuta l’uomo a liberarsi dal peccato del mondo. Perciò chi accetta il dono della grazia si deve impegnare per portare la liberazione all’interno del mondo.