L'uomo post-moderno
A tutti è successo di sentirsi sfiduciati e incerti nel pensare allo stato di precarietà della propria esistenza. Da un certo punto di vista, l’incertezza può essere considerata una caratteristica dell’età giovanile.
Probabilmente voi giovani avete l’impressione che la società sia guidata da una classe di «anziani» (quasi una gerontocrazia) che vi relega in un angolo e vi lascia come in stand-by. Il periodo di attesa può sembrarvi un lungo letargo, un incerto lasso di tempo in cui condurre esperienze diverse, spesso senza nessun collegamento tra loro.
Di certo conoscete qualche vostro coetaneo che ha già terminato gli studi e si trova a vivere un difficile ingresso nel mercato del lavoro. Questo passaggio dalla scuola al lavoro sembra a volte protrarsi all’infinito e si caratterizza per successivi periodi di precariato: si tratta di una realtà che può farvi temere per il vostro futuro. Infatti siete ben consapevoli che se oggi la vostra famiglia può esservi in qualche modo di aiuto, per compensare l’incertezza economica e sociale in cui vivete, tutto ciò avrà alla lunga ineludibili conseguenze. Sicuramente non pensate ancora al momento in cui andrete in pensione, ma forse avete amici che, avendo terminato gli studi, si stanno misurando con la difficoltà di trovare e mantenere un lavoro.
Desiderio di indipendenza e frammentarietà sociale
Forse sentite l’esigenza di diventare indipendenti dai vostri genitori, di avere una casa e un lavoro.
Tuttavia, nella nostra società «liquida», sarà difficile per voi diventare indipendenti, crearvi una famiglia. Vedrete certamente amici di qualche anno più vecchi di voi che spesso abitano ancora con i propri genitori. Difficile essere presenti nella vita pubblica essendo totalmente indipendenti; lo si fa, ma in modo molto graduato. Difficile assumere impegni affettivi definitivi con un’altra persona, difficile decidersi ad amare «per tutta la vita»: forse conoscete qualcuno che ha provato per un periodo a convivere, o si è sposato, per poi tornare a vivere con i genitori, cercando anche di ritornare alla vita di prima.
In una società liquida come quella odierna è più facile avere la tendenza a vivere nell’oggi: infatti, se la realtà quotidiana sembra sfuggevole e incerta, il futuro lo è ancora di più. Voi giovani spesso avete la sensazione che la vostra sia una generazione «sprecata», perché gli adulti pare non abbiano intenzione di lasciarvi spazio o permettervi di dare il vostro contributo alla società.
Il post-moderno
La secolarizzazione è un processo che ha radici antiche e profonde. Si tratta di un modo di vivere all’interno del quale l’umanità fatica a misurarsi con la proposta cristiana poiché ritiene che l’universo non abbia più bisogno di Dio per essere compreso, ma possa spiegarsi da sé. Il post-moderno pretende di essere il compimento del processo di secolarizzazione del mondo: manca una visione unitaria e prevale la frantumazione, con la conseguente dispersione culturale e religiosa.
In questa secolarizzata SOCIETÀ LIQUIDA, l’uomo che combatte con la difficoltà di trovare lavoro, l’uomo senza sicurezze, che non si fida degli altri se non a breve termine, che difficilmente si lega a qualcuno, che vive da adulto con i propri genitori, chi è? Nella nostra realtà quotidiana assistiamo a una vigorosa sterzata verso l’individualismo e il relativismo. Emerge così la prospettiva di un’epoca di incertezze, senza radici e senza orizzonti, caratterizzata dal caos e dalla provvisorietà: in questo senso, l’uomo può apparire senza futuro. Dal punto di vista religioso, si assiste da una parte alla crisi delle religioni tradizionali e storiche, dall’altra al proliferare delle sette: l’individuo avverte una spinta verso il divino che lo porta a rincorrere forme di religiosità SINCRETISTE o a rifugiarsi in una riduzione del religioso al meraviglioso, ingrassando così sedicenti maghi e fattucchiere.
La pretesa della libertà assoluta
In generale, il post-moderno vuole portare a compimento la pretesa, tipica della modernità, di una libertà dell’individuo assoluta (dal latino ab-soluta, ovvero sciolta, slegata da ogni costrizione), a cominciare da quella religiosa. L’uomo di oggi sperimenta l’impossibilità di trovare punti fermi e condivisi da tutti: in un mondo liquido, dove ciò che vale oggi non varrà più domani, tutto appare precario, discutibile, accettabile se mi serve momentaneamente a risolvere il problema, ma anche superfluo, qualcosa di cui posso fare a meno appena sento che non mi serve più.
Come si può parlare della verità sull’uomo, dei suoi problemi esistenziali in questo contesto caratterizzato dalla precarietà? Se tutto è fluido, la realtà corre il rischio di diventare scivolosa, come se l’uomo stesse sempre slittando sul ghiaccio. È per questo motivo che la persona preferisce rinunciare a cercare qualcosa o, meglio, «qualcuno», per cui valga davvero la pena vivere.
Le trappole
Parlare dell’uomo non è semplice. Proprio la complessità antropologica induce molti ad andare alla ricerca di una semplificazione. Tuttavia proprio questo restringimento dell’ottica, attraverso lo scarto di alcuni elementi costitutivi dell’umanità, può rivelarsi un'operazione pericolosa, che però ha la pretesa di essere una via di salvezza:
• l’idolatria della tecnica e della scienza. Sono considerate i nuovi oracoli del progresso e per questo ad esse non vengono posti limiti;
• la ricerca ossessiva del benessere psico-fisico. È la nuova idea di salvezza, da conseguire a livello puramente laico, che a volte può assumere i contorni religiosi propri del sincretismo e della new-age. Questo atteggiamento porta con sé il rifiuto totale di ogni tipo di sofferenza e di fatica: ciò che l’individuo vuole deve essere ottenuto subito e a qualsiasi costo;
• l’emergere del radicalismo, del fondamentalismo e di tendenze xenofobe. Se da un lato prevale la liquidità, dall’altro si fa strada la ricerca di identità brevi, della legittimazione delle cosiddette «piccole patrie», della valorizzazione della singola appartenenza etnica. Questo irrigidimento accresce la difficoltà della convivenza sociale, favorendo un senso di costante insicurezza;
• il modello antropologico dell’homo oeconomicus. La persona viene valutata esclusivamente attraverso l’uso di criteri economici;
• un atteggiamento di precarietà e di permanente incertezza. L’individuo pare incapace di portare avanti un progetto a lungo termine e scandisce la sua esistenza con nuovi inizi e nuove fini. Poiché si vuole avere tutto e subito, la prospettiva del futuro viene meno e la progettualità rimane bloccata. La persona vive così immersa in un eterno presente;
• l’uomo valutato in quanto consumatore. Tutto viene consumato: oggetti, esperienze, persone. La nostra società è specializzata nel produrre rifiuti di tutti i tipi. È la cultura dello scarto, di cui parla anche papa Francesco.
Davanti a queste trappole, l’umanità deve affrontare alcuni nodi:
• la complessità della vita. Il pluralismo, quando è estremo, porta al relativismo e alla banalizzazione della realtà umana;
• la frammentazione all’interno dell’uomo. All’uomo solido, poggiato su valori forti, si è sostituito l’uomo liquido, che non ha più punti di riferimento;
• la scienza e la tecnologia, con le loro regole misurabili quantitativamente, rischiano di compromettere il valore qualitativo dell’uomo, da ricercarsi proprio nella sua complessità irriducibile;
• il mito del cambiamento e della velocità. Tutto deve accadere all’istante: non hanno valore l’attesa, la durata e tanto meno la fatica necessaria a ottenere un risultato;
• l’approccio consumistico alla vita, tentativo di compensare la profondità del vuoto interiore.
Tali nodi sono opportunità per costruire una risposta di senso:
• la domanda sulla vita;
• la tematizzazione e la consapevolezza che oggi molte persone vengono escluse dalla società dei consumi;
• il bisogno di instaurare relazioni autentiche. Se i nuovi media ci offrono la possibilità di entrare più velocemente in comunicazione con gli altri, annullando distanze anche immense, spesso ciò che si crea sono solo relazioni provvisorie e fittizie: molte persone, magari con migliaia di followers sui social, sono spesso tristi perché si sentono sole, prive del calore umano. Alla relazione interpersonale profonda e autentica si è sostituito il «contatto», ma la persona per sua natura vuole di più.