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La nomenclatura della guerra
Si può parlare di guerra quando si assiste ad uno scontro violento tra eserciti regolari che causa in un anno 1000 morti. Si tratta ovviamente di una convenzione. È necessario partire da questo concetto per poter distinguere tra guerra e guerra.
• Guerra civile: si tratta di una guerra interna a un Paese, in cui due parti sono in lotta tra loro. Oggi spesso all’interno di questo conflitto intervengono forze esterne che corrono il rischio di allargare il conflitto.
• Guerre asimmetriche: il conflitto asimmetrico si realizza quando le parti contrapposte non possono essere paragonate dal punto di vista militare. Lo sbilanciamento totale si verifica quando una delle due parti non è in grado di difendersi.
• Guerra di difesa: è quell’azione di risposta di un Paese attaccato che è costretto a difendersi.
• Guerra di offesa: è il conflitto generato dall’attacco di un Paese su un altro.
• Guerra preventiva/preventivata: la guerra preventiva è un conflitto che viene motivato dalla necessità di attaccare per primi un nemico potenzialmente molto pericoloso per molti Paesi. La guerra preventivata è quella che viene minacciata per un lungo periodo. Certamente in questo modo si rinuncia all’effetto sorpresa, ma si ha il tempo per formare l’opinione pubblica sulla necessità dell’intervento bellico. inoltre chi minaccia l’attacco non solo ha tempo per fidelizzare gli alleati ma mostra anche di non temere alcuna contromossa da parte del nemico.
• Guerre egemoniche: sono quei conflitti combattuti al fine di ottenere il predominio su una regione.
• Intervento umanitario: a partire dalla guerra in Kosovo la guerra è stata indicata anche come “Intervento”, “intervento umanitario”, ma anche “operazione di polizia internazionale”.
In trincea
Quelle trincee (…) si mostravano a noi nella loro vera vita. il nemico, il nemico, gli austriaci, gli austriaci! … Ecco il nemico ed ecco gli austriaci. Uomini e soldati come noi, fatti come noi, in uniforme come noi, che ora si muovevano parlavano e prendevano il caffè. (…) Il movimento (nella trincea nemica) cessò all’arrivo di un ufficiale. (…) Era giovanissimo e il biondo dei capelli lo faceva apparire ancora più giovane. Sembrava non dovesse avere neppure diciott’anni. (…). Cominciai a puntare. L’ufficiale austriaco accese una sigaretta. (…) Quella sigaretta creò un rapporto improvviso tra lui e me. Appena ne vidi il fumo, anch’io sentii il bisogno di fumare. (…) Fu un attimo. Il mio atto del puntare, che era automatico, divenne ragionato. Dovetti pensare che puntavo e che puntavo contro qualcuno. (…). Certo facevo coscientemente la guerra e la giustificavo moralmente e politicamente. (…) Che io tirassi contro un ufficiale nemico era quindi un fatto logico. Anzi, esigevo che i miei soldati fossero attenti nel loro servizio di vedetta e tirassero benne, se il nemico si scopriva. (…) Avevo il dovere di tirare. (…) Avevo di fronte un ufficiale, giovane, inconscio del pericolo che gli sovrastava. Non lo potevo sbagliare. Avrei potuto sparare mille colpi a quella distanza, senza sbagliarne uno. Bastava che premessi il grilletto: egli sarebbe stramazzato al suolo. Questa certezza che la sua vita dipendesse dalle mia volontà, mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo!
La guerra giusta
Secondo Cicerone solo la guerra di difesa che faccia seguito ad una vera e propria dichiarazione può essere considerata “giusta”.
La Tradizione cristiana considera giusta la guerra che:
• È proclamata da un’autorità legittima
• Sia il risultato di una colpa dell’altro
• Sia combattuta con l’intento di restaurare il bene
• Non dia luogo a un abuso da parte del vincitore
• Riduca il più possibile la punizione per chi rimane sconfitto.
La guerra nelle religioni dell’Asia
Hinduismo e Jainismo
Secondo la comprensione comune da sempre Hinduismo, Jainismo e Buddhismo sono considerate religioni molto tolleranti nei confronti dell’altro al punto tale da mostrarsi pacifiste. Quest’impressione può derivare dal fatto che all’interno di questi sistemi religiosi è difficile stabilire dove stia la verità non esistendo una vera e propria Ortodossia, né un centro autorizzato a far valere la propria autorità. L’Hinduismo si mostra apparentemente così aperto da vedere in Gesù addirittura l’incarnazione di Vishnu. Non è possibile trovare nella tradizione hindu l’idea della guerra mossa contro gli infedeli, cioè contro persone che praticano una religione diversa e ciò è dovuto proprio al complesso intreccio di religioni da sempre presenti nella penisola Indiana. Del resto è opinione consolidata che solo gli Hindu possono trovare nell’Hinduismo una via di salvezza e che gli altri uomini devono seguire una via diversa, essendo la propria quella più efficace e diretta. Sono soprattutto i Jaina ad affermare che non si può danneggiare in alcun modo gli esseri viventi. Tuttavia queste convinzioni non impediscono a Hinduisti e a Jaina di affermare che la guerra è semplicemente un dovere religioso per la casta guerriera dei Ksatriya. Ora come abbiamo detto la società Hindu è divisa in caste e ciò è dovuto all’ordine con cui il cosmo ha avuto inizio e un volere divino. Sicché ogni casta deve attuare un dovere che non è solo sociale, ma che è prima di tutto religioso (svadharma): si tratta di una faccenda seria perché si ha a che fare col sacro.
Il Codice di Manu (III sec d.C. circa) nel settimo libro si occupa di stabilire i doveri del re e della casta dei Ksatriya. Il manifesto della guerra santa Hindu lo troviamo nella Bhagavadgita (III secolo d.C.) dove possiamo leggere di Arjuna che si sta lanciando contro i Kaurava in quel momento suoi nemici, ma anche parenti. Davanti a questa realtà che è sconcertante anche per il ostro eroe Arjuna cade in uno stato di profonda prostrazione perché realizza (un po’ come Lussu) che quelli che sta per uccidere sono uomini come lui e che questi uomini appartengono alla sua parentela. Arjuna ha quindi intenzione di ritirarsi, ma interviene Krishna che in quel momento ha preso le sembianze del suo cocchiere.
Buddhismo
Quando il Buddhismo venne elaborato in Tibet, Cina e Giappone venne utilizzata una filosofia simile a quella prospettata da Vishnu, vale a dire che è vano affliggersi per il dolore provato dal corpo e dall’anima e che quindi è possibile accettare il dolore e la morte. Presso alcune comunità buddhiste non solo è permesso l’uso armi, ma l’arte della spada appartiene alla meditazione. Elemento fondamentale che determinò il mutamento è l’upekka l’equanimità che impedisce da una parte di lasciarsi turbare dalla sofferenza, ma anche dalla morte di corpi che sono destinati all’impermanenza e dunque che devono dissolversi. La karuna buddhista (concetto simile alla misericordia) se da una parte fa sì che i Bodhisattva stiano perennemente sul limite per permettere alla gente bisognosa di entrare nel nirvana, dall’altra può richiedere che vengano realizzate azioni non solo apparentemente ingiusta, ma anche violente.
La guerra santa per l’Islam
La parola Jihad indica prima di tutto la lotta che ogni musulmano deve intrattenere con la propria parte che deve essere convertita. L’Islam conosce anche una lotta che non esclude la guerra guerreggiata per raggiungere lo scopo di diffondere la fede in Allah. Il mondo si divide in due case: il Dar – al – Islam, vale a dire la parte abitata dai musulmani, coloro che già si sono sottomessi ad Allah e la dar – al – Harb, la terra abitata da tutti coloro che ancora non hanno compiuto questo passo. Solo quando tutti gli uomini avranno scelto di sottomettersi ad Allah potrà esserci veramente la pace.
La guerra santa per Israele
Dio ha scelto Israele tra tutti i popoli della terra per stabilire con lui un’Alleanza. Questo rapporto è strettissimo ed indissolubile. Israele è l’eletto. Dio è l’elettore. Tutti gli altri popoli, i goym (le genti), non entrano in questo rapporto d’alleanza e di elezione.
La guerra per Israele ha valore sacrale con ideologia e riti suoi propri. La società proietta se stessa nel mondo mitico del divino. Sarà da quel mondo che la società ha creato, ma di cui non ricorda più l’atto fondativo, che proverranno gli ordini per una guerra. La guerra è dunque attribuita al volere di Dio o degli dèi ed anche quando ciò non appare quale risultato di una specifica lettura degli aruspici i segni della sua sacralità sono tuttavia presenti e decodificabili.
Generalmente era il popolo a combattere. Questo esercito era chiamato “popolo di YHWH” o “eserciti di YHWH” (Cf. Es 12,41: 7,4).
Andare in battaglia pone l’uomo in un pericolo costante. Perciò il soldato che va in guerra deve essere in stato di purità rituale perché YHWH è presente sul campo di battaglia e bivacca con le sue truppe (Deut 23, 10-15). Segno evidente della presenza di Dio nel campo è l’Arca (Numeri 10, 35-36). YHWH marcia con le sue truppe e si pone sempre alla loro testa (Giud 4,14; 2Sam 5,24; Deut 20,4). Tutte le guerre israelite sono le guerre di YHWH, i nemici d’Israele sono i nemici di YHWH.
Prima di partire per la guerra è necessario offrire un sacrificio a Dio, ma non si può iniziare un’ostilità con i nemici prima di averlo consultato usando l’efod ed alcuni oracoli sacri gli Urim e i Tumim. È Dio che combatte per Israele usando anche gli elementi naturali e gettando il nemico nella confusione.
La parola herem significa “separare” e indica l’atto con cui si decide di separare, di togliere all’uso profano e di immettere nell’uso sacro tutto ciò che fa parte delle conquiste della guerra. La parola non indicava in origine solo il bottino di guerra, ma tutto ciò che l’uomo voleva far rientrare nel possedimento di Dio come un dono o un sacrificio (Num 18,14; Lev 27,21.28; Ez 44,29).
È però nella guerra che si trova più spesso e a questo proposito è diventato famoso. Tutti i frutti della guerra erano abbandonati a Dio. L’herem è totale: tutta la popolazione e tutti i viventi (quindi anche gli animali) devono essere massacrati. La città, i beni mobili sono bruciati e gli oggetti di metallo consacrati a YHWH ed entrano a far parte del tesoro di Dio.
L’herem non può essere trasgredito perché chi lo fa attira la maledizione su tutto il popolo.
Gli oggetti cultuali delle città cananee conquistate sono distrutti secondo la legge (Deut 7,5.25). Quando una città israelitica aveva rinnegato YHWH, l’herem doveva essere eseguito con un certo rigore (Deut 13,13-18).