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Atti: un libro storico
Il libro degli Atti deve essere considerato un documento storico. Il lavoro redazionale compiuto da Luca pone in evidenza stili diversi, fusioni, doppioni, anticipazioni. Naturalmente vi sono incongruenze, ma queste appaiono secondarie rispetto al fatto, ad esempio, che se si paragona il racconto che Luca fa dei viaggi di Paolo con le Lettere dell’Apostolo dei Gentili, si scopre che vanno in parallelo, anche se non del tutto.È importante tuttavia ricordare che si tratta di un testo molto antico, composto all’interno di una mentalità che non accorda troppa importanza al mero elenco di fatti accaduti. Come tutti gli altri libri della Bibbia, anche quello degli Atti non è una cronaca: intento dell’autore è infatti trasmetterci il senso di ciò che succede alla prima comunità cristiana. Luca spesso presenta in modo edulcorato la situazione in cui vive la comunità, ma questo atteggiamento non può essere confuso con la menzogna: egli vuole infatti trasmettere il cambiamento che coglie chi accetta di credere in Gesù.
Si può dire in sintesi che Atti è un libro di storia teologicamente interpretato: questo non significa che ciò che viene raccontato non sia vero, ma che la realtà è presentata con un fine teologico.
Nel suo lavoro Luca ha utilizzato documenti e materiali preesistenti: ciò risulta evidente se si analizza la lingua usata. I brani composti direttamente da lui mostrano chiaramente la sua ottima preparazione linguistica, mentre in altri passi del suo lavoro il testo presenta arcaismi, parole tratte dalla lingue semitiche, errori, stentatezze linguistiche. Un esempio interessante è il brano del capitolo 2 in cui si raccontano le origini della comunità della Giudea: qui Luca riporta le parole di Pietro, presentando un testo molto probabilmente antico e proveniente dalla tradizione di predicazione dello stesso Pietro. Luca rispetta quella tradizione e non corregge il testo, perché si rende conto della sua importanza.
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La vita delle prime comunità
La Chiesa è da Luca presentata come una comunità che comincia ad agire dalla Pentecoste:
• Gli apostoli, che si erano sentiti rincuorati dalle apparizioni di Gesù risorto, hanno ricevuto da lui l’ordine di recarsi a predicare e a battezzare, ma sono in attesa.
• Si tratta di un gruppo unitario: sono Ebrei, fedeli osservanti della Legge. I cristiani potrebbero essere in questo momento scambiati per un movimento religioso ebraico. Essi si distinguono dagli altri Israeliti perché credono in Gesù.
• Viene presentato un fatto accaduto a una comunità e che la fonda come gruppo a se stante (Atti 2,1-47). Si realizza in modo violento, con l’irruzione dello Spirito Santo, ciò che era stato annunciato da Gesù (Atti 1,5).
• Questo fatto si verifica proprio durante la Pentecoste, che ricordava agli Ebrei la conclusione del Patto di Alleanza con Mosè e con i settanta anziani di Israele in rappresentanza di tutto il popolo.
Con la predicazione si forma un’autentica rete di comunità: la città grande, da cui è iniziata in ciascuna regione la predicazione, assumerà a poco a poco il titolo di metropoli (= città madre), preso a prestito dall’antica tradizione greca risalente al tempo della grande colonizzazione del Mediterraneo. Alcune Chiese hanno da subito un prestigio particolare: Gerusalemme, là dove tutto è cominciato, chiesa madre di tutte le Chiese; Antiochia, dove Pietro fu per qualche anno vescovo; Roma, dove Pietro e Paolo muoiono martiri per la fede; Corinto, particolarmente cara all’apostolo Paolo; Efeso, legata alla presenza dell’apostolo Giovanni. Il prestigio crea anche, a poco a poco, una sorta di gerarchia di importanza e di autorevolezza, cui molto contribuiscono anche grandi personalità di vescovi.
Apostoli e presbiteri
Luca in Atti non riporta molti particolari utili a ricostruire la vita quotidiana delle prime comunità cristiane. Molto probabilmente si ritrovavano all’interno di una casa privata sufficientemente grande da accogliere il gruppo di chi aveva accettato di credere: lì consumavano il pranzo fraterno e la cena del Signore, con canti e preghiere.All’inizio probabilmente non c’era una struttura ben definita. Tuttavia Luca parla di: Apostolos, termine che egli non riserva ai Dodici perché anche Paolo e Barnaba sono stati mandati dallo Spirito; Presbiteros, un gruppo di uomini che aveva la responsabilità di guidare la comunità; Didaskaloi, ossia i maestri; Prophetoi, che erano uomini carismatici; Episkopos, termine attribuito agli anziani di Efeso e che avevano la responsabilità di far crescere la comunità; Hjsentes, gli aiutanti; Diakonein, uomini con la responsabilità di curare i poveri e rendere testimonianza. All’interno della comunità vi era dunque la possibilità di ricoprire la funzione più adatta al proprio carisma.
Il ruolo dei responsabili
La costituzione delle nuove comunità di credenti in Cristo segue il modello offerto dalle comunità ebraiche del tempo, cui si aggiungono elementi derivati dal mondo greco, e alcuni caratteri originali. La comunità assume il nome greco di ecclesìa, «insieme dei chiamati, dei convocati» (da cui l’italiano chiesa): nelle antiche città greche, l’ecclesia era l’assemblea dei maschi adulti, chiamati a decidere delle questioni più importanti della comunità. Per i credenti in Cristo, la chiamata è invece quella alla fede, alla salvezza, a far parte della famiglia dei figli di Dio. Come avviene nelle comunità ebraiche con le «sinagoghe» (= luogo dove siamo raccolti insieme), anche nelle chiese c’è bisogno di un responsabile, di una guida, di un capo: sarà l’episcopo, parola greca che identifica l’ufficiale responsabile della sicurezza e del sevizio di guardia nell’accampamento militare. Il vescovo, responsabile dell’annuncio della fede, della predicazione e della cura spirituale della comunità, è aiutato dagli anziani o presbiteri (da cui l’italiano «preti») e dai diaconi, persone che si mettono a servizio di tutti per provvedere a varie esigenze concrete della comunità. Vescovi, preti e diaconi fanno parte di coloro che ricevono il sacramento dell’Ordine – il cosiddetto clero – e che provvedono, con responsabilità diverse, a ciò che serve al popolo dei credenti, cioè ai laici (dal greco laòs, popolo).WIP 2
Perfetti come filosofi
“La maggior parte degli uomini non sono capaci di seguire un ragionamento continuato, per la qual cosa hanno bisogno di fabbricarsi dei miti, cioè delle descrizioni dei premi e delle pene che li aspettano nella vita futura: così ai nostri tempi vediamo che coloro che vengono chiamati cristiani hanno basato la loro fede sui miti. Essi tuttavia talvolta agiscono come coloro che sono veri filosofi; abbiamo infatti sotto gli occhi il loro disprezzo della morte; parimenti una specie di pudore ispira loro l’allontanamento dai rapporti sessuali: vi sono in effetti tra loro uomini e donne che durante tutta la loro vita si sono astenuti dall’unione sessuale; vi sono poi anche altri che, nella direzione e nelle disciplina dell’anima, come nell’applicazione rigorosissima sono arrivati a una perfezione tale da non essere per nulla da meno dei veri filosofi”.
(Claudio Galeno, cit. da Abe’ Fidà in Historia Anteislamica)
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Le ragioni del sospetto e le accuse nei confronti dei cristiani
Affermare l’esistenza di un Dio Unico, invisibile e non raffigurabile, il cui Figlio era di fatto morto crocifisso, come ribelle a Roma, significava per i Romani non avere Dio, essere atei. Il fatto poi che i credenti in Cristo si chiamassero fra di loro «fratelli e sorelle», e però si sposassero fra di loro, faceva prosperare, soprattutto fra la gente del popolo, la convinzione che questi cristiani praticassero l’incesto e ogni altra possibile nefandezza sessuale.
Parallela all’accusa di ateismo si diffondeva quella che considerava i cristiani una setta tenebrosa, costituita per lo più da schiavi: gente che odiava i padroni Romani, i credenti in Cristo era visti come ribelli adoranti un dio ribelle, morto crocifisso, insomma un gruppo di ignoranti superstiziosi e ingenui che credevano che questo crocifisso fosse tornato in vita, e ancora vivesse «Risorto», pronto a ricomparire per liberarli dalla schiavitù.
La celebrazione dell’eucaristia o cena del Signore, durante la quale i credenti si cibavano del corpo e del sangue del Cristo era intesa dal popolo, e dagli intellettuali, come conferma delle nefandezze di cui i cristiani erano capaci: gente che compiva assassini rituali, per poi cibarsi come antropofagi delle carni e del sangue delle vittime sacrificate accusa che voleva giustificare la necessità della violenta persecuzione e la severità estrema delle pene.
I cristiani si tenevano lontani dalle espressioni per loro peggiori o pericolose della società imperiale: i giochi violenti del circo, dove si decideva della vita o della morte di gladiatori o di innocenti prigionieri, gli spettacoli spesso molto licenziosi del teatro, il culto pubblico cui tutti erano tenuti a partecipare, persino l’assunzione di cariche pubbliche che avrebbero comportato di necessità forme di culto tradizionale e imperiale. Questo isolarsi dei cristiani dalla vita politica sociale e culturale del tempo fece maturare l’accusa di misantropia, cioè di disprezzo del genere umano, disprezzo che finì per essere talvolta interpretato come odio verso tutti quelli che non fossero cristiani. L’esatto contrario del messaggio di amore di Gesù, e del manifesto dello stile di vita cristiano rappresentato dalle Beatitudini.
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Chi sono i lapsi?
Quando i cristiani venivano portati davanti alle autorità romane e invitati a bruciare incenso all’imperatore per evitare la morte, non tutti riuscivano a mantenere salda la fede. Alcuni di essi si piegarono alla richiesta e fecero atto di adorazione. Altri, invece, pur non piegandosi al sacrificio, erano riusciti a corrompere i funzionari per farsi consegnare il libello che certificava l’avvenuta offerta votiva. Terminate le persecuzioni, i lapsi, vale a dire chi aveva abbandonato la fede o che era entrato in possesso della dichiarazione, chiesero di essere riammessi all’interno della Chiesa. Essi sostenevano di essere credenti, ma di aver tenuto quel comportamento per evitare la morte. la richiesta suscitò molte discussioni. Papa Cornelio era del parere che i lapsi potessero essere riaccolti dopo aver scontato una lunga penitenza. Tuttavia Novaziano riteneva l’ipotesi non percorribile. Nel dibattito che ne seguì ebbe la meglio l’idea del papa. Fu quello uno dei primi casi in cui venne utilizzato il sacramento della penitenza per riammettere in comunità chi si era reso responsabile di peccati molto gravi. Fino ad allora, infatti, chi si rendeva responsabile di peccati dopo il battesimo non poteva godere di questa possibilità. I primi cristiani infatti ritenevano che fosse sufficiente il perdono dei peccati ricevuto durante il battesimo. Chi si convertiva, essendo adulto doveva apprezzare la possibilità che gli veniva offerta e comportarsi conseguentemente alle sue scelte.
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Padri apostolici, padri della Chiesa e apologisti
La parola «padre» identifica una persona riconosciuta per la sua sapienza e autorità, un maestro del popolo. Molti Padri apostolici furono anche vescovi.
• Ai padri apostolici devono essere attribuiti alcuni scritti a cui la Chiesa ha sempre conferito molto importanza perché documenti fondamentali per la ricostruzione della più antica e vera tradizione cristiana. Tra i più importanti: Clemente vescovo di Roma, Ignazio di Antiochia, Policarpo vescovo di Smirne.
• I padri della Chiesa sono invece coloro che per primi si sono dedicati al lavoro teologico e sono stati i veri protagonisti all’interno delle discussioni che si aprirono in occasione delle eresie e dei concili che si resero necessari per controbatterle. Si deve al lavoro dei Padri della Chiesa se la fede cristiana, che era stata originariamente formulata ed annunciata secondo canoni culturali propri del giudaismo, venne completamente riformulata tenendo in considerazione le caratteristiche totalmente difformi del pensiero greco e romano. Tra essi: Cirillo di Gerusalemme, Origene, Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo, Ambrogio vescovo di Milano, Gerolamo a cui si deve la traduzione della Bibbia in latino, Atanasio di Alessandria, Agostino di Ippona, Giovanni Crisostomo di Costantinopoli.
• Sono chiamati apologisti quegli scrittori cristiani che hanno dedicato la loro opera a difendere la fede cristiana servendosi della ragione. Possiamo ricordare apologisti greci e romani. Essi hanno lavorato tra il II e il III secolo. In quest’epoca, la Chiesa era diventata più numerosa e poteva vantare anche persone che avevano avuto l’opportunità di farsi una vasta cultura. Questi studiosi non avevano nulla da invidiare a quelli pagani. Essi decisero di confrontarsi con i pagani colti al fine di confutare non solo le obiezioni che venivano rivolte alla fede cristiana, ma anche i pregiudizi che essi avevano sui cristiani. Tra essi: Giustino, Teofilo di Antiochia, Apollinare di Gerapoli, Milziade.
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Il trionfo dell’impero cristiano
Il fallimento del progetto di distruzione del cristianesimo, voluto da Diocleziano e Galerio, è in gran parte dovuto all’aver verificato non solo la forza morale dei cristiani, ma anche al sussistere di una loro capillare diffusione e a una non più estirpabile presenza nel tessuto sociale e culturale di tutto l’impero. Presenza e forza che, in fin dei conti, avrebbero potuto tornare utili proprio al benessere e alla prosperità dell’impero.
Molto importante risulta essere stato il ruolo di Costantino, che progettò di integrare personalità e figure istituzionali delle Chiese cristiane nel corpo politico, sociale e culturale dell’impero. Inizia così, fra secondo e terzo decennio del IV secolo, un percorso insieme religioso e politico che maturerà, circa settanta anni più tardi nella decisione dell’imperatore Teodosio di dichiarare il cristianesimo unica religione lecita dell’impero.
Questo straordinario successo, un autentico trionfo, coincide anche con il maturare di una nuova esperienza di vita spirituale: il monachesimo. Alle sue origini, si manifesta come l’esigenza di alcuni uomini (più tardi anche di donne) di praticare la fede in tutta la sua evangelica radicalità, lontano dalle città, dalle folle, dal potere, vivendo in solitudine, come monaci (dal greco, coloro che stanno da soli) – in preghiera, lavoro e contemplazione – l’avvicinamento alle realtà ultime della condizione umana, quelle dell’incontro con Dio.
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I primi quattro Concili
325 Nicea: convocato e presieduto da Costantino, raccolse presso il Palazzo imperiale circa 300 vescovi.
I padri conciliari (in stragrande maggioranza provenienti dalle Chiese d’Oriente) definirono la prima formula del Credo cristiano o Simbolo niceno, che riassunse i contenuti fondamentali e irrinunciabili della fede.
Furono condannati gli insegnamenti del prete Ario di Alessandria, circa la natura divina del Figlio Gesù Cristo considerata sostanzialmente inferiore a quella di Dio Padre.
381 Costantinopoli: fu convocato da Teodosio, proprio l’anno seguente la pubblicazione dell’Editto che faceva del cristianesimo l’unica religione lecita dell’Impero.
Il concilio riunì nella capitale imperiale, per circa tre mesi, 150 vescovi, tutti orientali.
I padri conciliari confermarono le decisioni di Nicea e definirono una più ampia professione di fede, il Simbolo niceno-costantinopolitano, che rimase il più diffuso, sino a oggi, presso tutte le Chiese cristiane. Il concilio condannò alcune dottrine eretiche circa la Trinità, e affermò con forza che lo Spirito Santo è Dio, eterno come il Padre e della stessa sostanza divina del Padre.
431 Efeso: l’imperatore Teodosio II convocò un nuovo concilio ecumenico a Efeso, antica metropoli dell’Asia Minore. Vi parteciparono circa 250 vescovi, che si occuparono soprattutto di definire la dottrina cristologica.
Il concilio condannò Nestorio e le sue dottrine, affermando che in Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, sono presenti due nature in un’unica Persona divina. Il concilio proclamò anche solennemente che a Maria deve essere attribuito il titolo di Theotokos, cioè Madre di Dio.
451 Calcedonia: fu convocato dall’imperatore d’Oriente Marciano e dall’imperatrice Pulcheria, devotissima credente. Raccolse nella antica Calcedonia, città affacciata su Bosforo proprio di fronte a Costantinopoli, quasi 600 vescovi.
I padri conciliari condannarono Eutiche e i suoi seguaci, e tutta la dottrina del monofisismo.
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La riflessione sulla fede
L’azione dei primi grandi concili ecumenici fu di fondamentale importanza per la riflessione sui contenuti fondanti e irrinunciabili della fede, e per la definizione della ortodossia (retta dottrina). Costituirono dei fondamentali momenti di discussione e di confronto, spesso anche molto acceso, quasi violento. Sono una testimonianza importante del valore, sempre più grande e profondo, assunto dal cristianesimo nella società, nella cultura, persino nella politica dell’impero, con tutti i pro e tutti i contro della situazione.
Che fine hanno fatto i seguaci delle eresie?
La condanna dei predicatori eretici, delle loro dottrine e dei seguaci non significò affatto la fine dei gruppi e delle comunità che a essi si ispiravano.
L’arianesimo, ad esempio, conobbe una ampia diffusione: sia all’interno dell’impero, tanto in Oriente quanto in Occidente e presso la stessa corte imperiale – secondo una accreditata tradizione storica, lo stesso Costantino si avvicinò agli insegnamenti di Ario, e in punto di morte fu battezzato da un vescovo ariano – sia anche all’esterno. In particolare, soprattutto per iniziativa del vescovo Ulfila, l’arianesimo fu la confessione cristiana abbracciata da importanti popoli germanici: in particolare dalle stirpi dei Goti (sia Ostrogoti sia Visigoti), dai Vandali, dai Longobardi, e in primo tempo anche dai Franchi.
Il monofisismo si diffuse soprattutto in Oriente, e particolarmente in Egitto, in Siria e in alcune regioni dell’Etiopia. Il nestorianesimo, invece, trovò seguaci in particolare nelle regioni dell’antica Mesopotamia e in Persia. Il pelagianesimo si diffuse soprattutto nella parte occidentale dell’impero, ma per breve tempo, e attecchì invece più a lungo in Nord Africa. Alcune di queste Chiese separate dall’ortodossia sopravvivono sino ai nostri giorni: importanti comunità monofisite e nestoriane sono tuttora presenti in Egitto e in Etiopia, in Siria, in Iraq e in Iran.
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La Chiesa di Roma e i regni germanici di fede ariana
La complessa situazione che seguì in Occidente alla fine dell’autorità imperiale può essere così sintetizzata: al posto di un unico impero romano, si affermarono e si consolidarono lentamente alcuni regni germanici: Ostrogoti in Italia, Franchi, Burgundi, Alamanni, Svevi e Sassoni in Francia e in Germania, Visigoti in Spagna, Angli e Sassoni in Britannia, Visigoti in Nord Africa. I gruppi dirigenti e i militari di questi regni erano per lo più di stirpe germanica, ma l’amministrazione civile e gran parte dell’aristocrazia rimasero di lingua latina, e cultura e tradizioni romane.
A ciò si deve aggiungere che, in grande maggioranza, queste stirpi germaniche erano state convertite al cristianesimo nella confessione ariana. Questo comportò non pochi problemi di convivenza, anche talvolta nella stessa città, fra comunità cattolica e comunità ariana, con frequenti contrasti, conflitti, spesso con persecuzioni. Una situazione che perdurò a lungo, in alcune zone per circa due secoli, sino alla definitiva affermazione della confessione cattolica ai tempi della costituzione dell’impero dei Franchi (seconda metà dell’VIII secolo).
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Gregorio I
Gregorio, discendente della nobile famiglia degli Anici, nacque a Roma probabilmente verso il 540. Avviato alla carriera dei funzionari imperiali, fu nominato prefetto della città, proprio quando si stava avvicinando la terribile minaccia dei Longobardi. Avendo compreso di avere una vocazione per la vita religiosa, si fece benedettino e fondò un piccolo cenobio sul Colle Celio, presso la sua abitazione. Papa Pelagio II lo inviò in missione a Costantinopoli per chiedere aiuti: lì Gregorio resterà circa sei anni, perfezionando la sua preparazione sia politica sia religiosa. Richiamato a Roma venne eletto papa nel 590.
Avviò importanti opere di assistenza dei poveri e dei bisognosi: fondò sette diaconie, organizzate per servire gli ultimi, attingendo direttamente alle sue personali ricchezze e al vasto patrimonio della Chiesa di Roma. Strinse rapporti diretti e personali con la regina longobarda Teodolinda, puntando a pacificare i rapporti fra Longobardi e Romani e Bizantini e cercando di convertire al cattolicesimo quel popolo di ariani.
Allacciò importanti rapporti con la corte del regno dei Franchi, i cui sovrani, da circa un secolo, si erano convertiti al cattolicesimo.
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Il cristianesimo in Armenia, in Etiopia e in India
Ma il cristianesimo non si diffuse solo nei territori dell’impero romano, né rimase in qualche modo vincolato alle tradizioni culturali del mondo ellenistico, romano, bizantino. Fin dalle origini, i missionari si spinsero fin dove il coraggio e le possibilità lo permettevano.
Secondo un’antichissima tradizione, i santi apostoli Giuda e Bartolomeo arrivarono a evangelizzare le terre del Regno di Armenia, un aspro territorio montagnoso ai confini fra Europa e Asia, nella regione del Caucaso.
Nel 301 l’Armenia tutta era convertita alla fede cristiana, e diventava la prima nazione a scegliere di proclamarsi cristiana. Una identità che sarà sempre fortissima, e che attraverserà secoli, regimi, persecuzioni, tentativi di genocidio, giungendo sino ai giorni nostri.
Sempre in età apostolica o sub-apostolica, il cristianesimo raggiunse i territori della lontana Etiopia, nel cuore del continente africano: lì sarà fondata una Chiesa autonoma, orgogliosa delle proprie origini, lingua, tradizione e liturgia, anch’essa vitale sino ai giorni nostri.
Oltre i confini orientali dell’Impero, il cristianesimo, sin dal II secolo iniziò a diffondersi in Persia, nella Valle dell’Indo e lungo le coste dell’immenso sub-continente indiano. Piccole o piccolissime comunità, che sfideranno per secoli le difficoltà etniche, politiche e culturali di ambienti talvolta fortemente ostili.
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Il cristianesimo nell’Europa carolingia
Tra settimo e nono secolo nuovi importanti cambiamenti intervengono nella storia politica, culturale e religiosa dell’Europa.
Nel corso del settimo secolo gli eserciti musulmani entravano nella Penisola iberica e conquistavano il regno dei Visigoti (713): di lì muovevano verso oriente e valicati i Pirenei dilagavano nelle terre dei Franchi, dove, nel 732, venivano fermati e respinti dall’esercito di Carlo Martello. Al confine opposto dell’Europa, Leone III Isaurico, imperatore d’Oriente, fermava l’avanzata del Califfo di Baghdad e respingeva definitivamente l’attacco verso Bisanzio.
Nel corso dell’ottavo secolo, l’affermazione via via sempre più significativa del regno dei Franchi – sin dalla fine del quarto secolo convertito alla fede cristiana nella confessione cattolica – ebbe conseguenze molto significative nella storia della cristianità europea. Nella prima metà del secolo, i vescovi di Roma strinsero alleanza con la dinastia principesca dei Pipinidi, riconoscendo a Pipino il Breve, nel 751, il titolo di re e facendolo ungere dal vescovo Bonifacio – apostolo della Germania – con lo stesso crisma (olio sacro) usato per consacrare i vescovi. Al papato la nuova forte monarchia dei Franchi serviva come protezione contro la minaccia che in Italia rappresentavano i Longobardi, cristiani di confessione ariana, sempre desiderosi di ridurre potere e autorità della Chiesa di Roma.
L’alleanza del papato con i Franchi comportava novità assai importanti: la monarchia dei Pipinidi, per iniziativa del papa stesso, veniva rivestita simbolicamente di una autorità religiosa; il papa si poneva ora come «consacratore» di re, e quindi con un ruolo politico fortissimo e del tutto inedito; il riferimento ai Franchi – maggiore potenza militare e politica dell’Europa del tempo – costituiva per il papato un’ottima garanzia di sicurezza, e rendeva sempre più debole e meno necessario il riferimento alla «protezione» politica degli imperatori d’Oriente.
Le conseguenze di questa situazioni si faranno ancora più significative tra la fine dell’ottavo e per tutto il nono secolo. I papi avranno un ruolo decisivo nel convincere i Franchi a contrastare e poi a combattere e infine a conquistare nel 774 il regno dei Longobardi; riceveranno dai sovrani franchi – o vedranno confermate – ampie donazioni di territori in Italia centrale, territori che andranno definitivamente a costituire il cosiddetto Patrimonio di San Pietro (o Stato della Chiesa), esteso fra Lazio, Umbria e Marche, territorio sul quale i papi eserciteranno per circa un millennio autorità sovrana, come veri capi di Stato.
Negli anni successivi, la Chiesa di Roma appoggerà costantemente le campagne militari del re dei Franchi Carlo, figlio di Pipino, che arriverà a conquistare al suo popolo – già padrone della regione francese – i territori attuali dei Paesi Bassi, della Germania occidentale, della Svizzera e dell’Austria.
Nella notte di Natale dell’anno 800, durante una solenne liturgia eucaristica, papa Leone III porrà sul capo di Carlo una corona d’oro, proclamandolo Augusto, riconoscendogli cioè il prestigio e il titolo e l’autorità degli antichi imperatori romani: ma il nuovo impero nasceva come sacro, cioè come cristiano e quindi profondamente legato, quasi soggetto, alla autorità e al prestigio del pontefice. Iniziava così un rapporto importante e complesso, politico e religioso, tra la Chiesa di Roma – sempre più madre di tutte le Chiese d’Occidente – e il nuovo Sacro Romano Impero: un rapporto, fatto di alleanze e di contrasti, di conflitti e di stretta collaborazione, che condizionerà in modo profondo per molti secoli la storia religiosa e civile del nostro continente.
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La distruzione delle immagini sacre
Tra l’VIII e il IX secolo il mondo cristiano fu sconvolto dalla crisi dell’iconoclastia.
Infatti alcuni maestri della Chiesa d’Oriente iniziarono a sostenere che le immagini della divinità non dovevano più essere esposte dipinte nelle chiese o in altri luoghi. Secondo il loro pensiero si doveva rimanere fedeli a quanto stabilito all’interno dell’Antico Testamento dove era fatto espresso divieto agli Ebrei di formarsi qualsiasi immagine di Dio con tratti umani o animali. Questa decisione era stata allora assunta al fine di evitare che le persone adorassero immagini umane o animali come se fossero divinità, pratica che invece caratterizzava le religioni pagane.
Tuttavia le immagini che narravano, rappresentandoli, i vari racconti dell’Antico e del Nuovo Testamento erano molto importanti per la predicazione e per la catechesi. Infatti in questo periodo non erano molti quelli che potevano leggere il testo sacro a causa dell’analfabetismo. Le immagini potevano servire come racconto dipinto di quanto i predicatori annunciavano a voce. Inoltre le immagini potevano servire per concentrarsi nella meditazione e per evitare le distrazioni. In questo modo la spiritualità delle persone poteva elevarsi staccandosi dalla sola realtà terrena verso le realtà più spirituali, ma anche più difficili da immaginarsi. Le immagini che erano state realizzate all’interno delle chiese e delle basiliche potevano a buon diritto essere considerate la Bibbia dei poveri e degli analfabeti.
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La conversione in Europa
La predicazione poteva essere capillare, nei villaggi come nei pochissimi centri urbani del tempo, ma, sempre più di frequente, i monaci missionari cercavano di essere accolti e di poter predicare presso la corte, di solito itinerante, del principe al cui comando erano sottoposti i grandi nobili del popolo pagano, e tutte le popolazioni circostanti.
In molti, moltissimi casi, la scelta del sovrano di convertirsi alla nuova fede cristiana comportava quasi automaticamente la conversione di tutta la nobiltà e ben presto di tutto il popolo. Questa prassi e questa strategia se, da un lato, consentivano alle sedi patriarcali di Occidente e di Oriente di poter annoverare in tempi relativamente brevi molte nuove comunità di credenti, dall’altro comportarono un inevitabile peggioramento della qualità della vita di fede.
Molto spesso si trattava di conversioni poco più che formali, che si limitavano a pochi atti di culto, per lo più esteriori, senza che si manifestasse una reale conversione del cuore e della mente, e un reale cambiamento nello stile di vita, nella mentalità, nelle quotidiane scelte di vita. Tutto ciò rese necessario, negli anni successivi alla «conversione» del sovrano e della corte, un importante, costante, lento e paziente lavoro di catechesi, di progressivo approfondimento della fede, e di proposta di esempi credibili di vita cristiana autentica e di santità. Un caso a parte è rappresentato dalle iniziative che Carlo Magno, nei suoi lunghi anni di governo, assunse in merito alla diffusione del cristianesimo. Gli storici hanno calcolato che, nei suoi oltre trentasei anni di governo, Carlo abbia guidato circa cinquanta spedizioni militari: quasi tutte, oltre a ingrandire il dominio dei Franchi, avevano anche lo scopo di diffondere il cristianesimo presso nuove genti, anche con la forza. Insieme all’esercito dei Franchi avanzavano chierici, che battezzavano in massa le popolazioni sottomesse, e fondavano quindi chiese, abbazie, sedi episcopali. Queste conversioni coatte non giovarono evidentemente alla qualità della fede, e resero poi necessaria una faticosa opera di ri-evangelizzazione e di educazione cristiana, che impiegò talvolta secoli per raggiungere risultati spiritualmente apprezzabili.
Isole britanniche: Negli stessi anni in cui vediamo al lavoro Gregorio Magno, numerosi monaci irlandesi erano scesi in Europa per dedicarsi alla predicazione e a una vera e propria opera missionaria. Essi erano guidati da Colombano. Il cristianesimo era stato accolto molto favorevolmente in Irlanda fra il IV e il V secolo e molte persone avevano deciso di vivere la fede all’interno dei monasteri. L’Irlanda era stata risparmiata dalle invasioni dei popoli germanici e perciò ebbe modo di diventare un centro rinomato di cultura cristiana. Quando l’Europa si trovò in difficoltà essi si stabilirono non solo in Britannia, dove annunciarono il cristianesimo ai Sassoni, ma anche in Francia (Luxeuil), in Italia (Bobbio) e in Svizzera (San Gallo). In Irlanda si sviluppò quindi una vigorosa tradizione monastica, parallela a quella benedettina, che si espresse in un’intensa azione missionaria, diretta soprattutto verso la Scozia e l’Europa continentale. La Gran Bretagna, con le sue diverse regioni, ebbe storia diversa: subì invasioni ricorrenti, e vi si stabilirono infine popoli anglo-sassoni che fondarono sette piccoli regni, i cui sovrani si convertirono al cristianesimo fra la fine del VI e la metà del VII secolo.
Regione germanica: i territori che oggi definiamo in senso ampio «tedeschi» furono evangelizzati in modo sistematico alla fede cattolica solo a partire dal VII secolo e cominciarono ad avere importanti comunità cristiane soltanto nel corso del secolo seguente. Apostolo dei Germani fu il monaco anglosassone Bonifacio, che per oltre trent’anni percorse instancabile in missione, Turingia, Assia, Baviera, Alamannia; su mandato di diversi pontefici non solo battezzò le popolazioni, ma consacrò vescovi, organizzò diocesi, fondò abbazie. Tuttavia in queste terre il permanere di credenze e tradizioni popolari anteriori il cristianesimo solo molo lentamente e gradatamente lasciò spazio a una più matura esperienza di vita evangelica.
Grande impulso all’evangelizzazione la diedero Carlo Magno e i suoi successori, in particolare nei confronti dei Sassoni che non intendevano assolutamente abbandonare le tradizioni religiose più antiche. Carlo non si fece scrupolo di usare forme spietate e violenze per costringere alla conversione, con esiti limitati e con azioni certo molto lontane dal vero spirito evangelico.
Europa scandinava. Le terre del «grande Nord» europeo furono abitate da popoli noti con il nome di Vichinghi «guerrieri» o Normanni «uomini del Nord». Queste genti erano composte da coraggiosi combattenti e straordinari marinai, ed erano portatori di forti tradizioni religiose tribali, dove importante era il culto degli eroi antenati e di un ricco pantheon di divinità guerriere. Questi popoli, fra VII e X secolo, dominarono non solo le coste del Baltico e del Mare del Nord, ma fondarono anche forti regni in Danimarca, in Inghilterra, in Svezia e Norvegia. Gruppi di Normanni occuparono vasti territori nel regno dei Franchi – la Normandia – poi nel Sud dell’Italia e costituirono, con il nome di Vareghi, importanti principati nei territori più occidentali di quella che oggi è la Russia.
La loro conversione si compì relativamente tardi, non prima del X secolo. Uno degli episodi decisivi fu la conversione al cristianesimo ortodosso del potente principe Vladimiro di Kiev, che nel 990 sposa una principessa bizantina, Anna Porfirogenita, sorella dell’imperatore Basilio II; importanza analoga ebbe, nel 924, la conversione del duca Rollone di Normandia alla fede cattolica.
Europa orientale: a partire dal VII secolo, importanti popolazioni di origine mongolica, gli Avari e i Bulgari, si insediarono nelle terre dei Balcani e lungo il corso del Danubio. I primi furono completamente distrutti e dispersi dal Carlo Magno, sul finire dell’VIII secolo. I Bulgari, invece furono per un paio di secoli una seria minaccia per l’impero di Bisanzio: furono convertiti al cristianesimo ortodosso nel corso del IX secolo e dopo un periodo di grande autonomia con Simeone il Grande, furono poi definitivamente sottomessi a Bisanzio, sul finire del secolo, dall’imperatore Basilio II.
Contro i Bulgari, all’inizio del IX secolo, Bisanzio aveva chiamato dalle steppe della regione russa il bellicoso popolo degli Ungari, che si stabilirono infine nel vasto territorio compreso fra Carpazi, Danubio e Tibisco. Popoli di origine mongolica, per oltre un secolo devastarono l’Europa, compiendo scorrerie sino in Italia, in Borgogna e in Aquitania. Missionari cattolici furono inviati dalla Baviera, ormai cristiana, a evangelizzare quel popolo: obiettivo che fu raggiunto alla fine del X secolo. Papa Silvestro II riconobbe addirittura a Stefano il titolo di re, e gli inviò da Roma una preziosa corona: da allora gli Ungheresi sono fra le comunità di fede cattolica più vigorosa e particolarmente fedeli alla Santa Sede.